La regina stava rinchiusa nella torre.
''Oh come è possibile che il mio principe sia si' crudele?''
''E io l'ho amato, i miei passi sono stanchi e più non ho voglia di alzarmi dal letto, ogni pietra di questa torre lugubre e senza finestre mi ricorda il suo volto luminoso, io sono stata accanto a lui prima che la sua mano si distaccasse, prima di non poterla toccare più''.
''Oh che crudeltà, io sono stupida e senza valore, come una schiava egli mi tiene rinchiusa qui, ma senza poterlo vedere, nulla ha più senso, dico la verità senza di lui io più non voglio neanche tentare di uscire senza che i suoi passi guidino i miei''
''Ma il mondo è grande''.
I candelabri illuminavano il volto pallido della regina che esangue moriva ogni giorno.
Ella fuggiva gli specchi.
Sempre più magra si abbandonava al dolore, alla tenebra più profonda ella sussurrava il suo canto:
''Dolce crudeltà, topo che rodi la mia carne, perché i pensieri volano lontani fuori di qua, come prigione è la realtà, se solo potessi ristringere la tua mano, ma il pensiero, che mi è breve conforto subito svanisce e si tramuta nei muri plumbei che vedono i miei occhi, in cui sono rinchiusa, e già più non vedo te e già ritorna la tortura crudele, la memoria è prigione peggio di queste pietre.''
Lo strazio si ripeteva nel buio della torre.
Ella tentava di uscirne ma senza successo.
Un giorno prese un libro e tentò di distrarsi dal dolore.
Parlava di una grande battaglia.
Descriveva come il principe sarebbe dovuto partire per combattere le legioni di demoni ai confini del deserto di pietra nera.
''Chissà che non stia parlando di lui...''
Nel libro era narrato di come il principe aveva dovuto lasciare la sua dama per difendere i confini da una schiera di esseri malefici.
Odio, carestia, solitudine, egoismo, paura, ansia, dolore, morte l'ultimo, il più temibile si chiamavano i re senza testa del mondo infero.
Nel deserto li aveva incontrati ed essi lo avevano vinto e ucciso.
Passo dopo passo ella si trovava a salire una scala ebbra della sua stessa fatica, senza finestre il suo mondo, rinchiusa, prigioniera, orfana, cosa più temibile di tutte, abbandonata.
Saliva le scale senza luce se non quella dei suoi candelabri.
Sette candele, tre da una parte, tre dall'altra, una al centro.
La mente oramai assente, guardava la fiamma, prese il candelabro e illuminò la stanza.
''Il ricordo è vicario di luce, senza il sole, qualcosa me lo deve ricordare''
Chiuse gli occhi.
I suoi piedi scalzi sentivano il marmo freddo e crudele.
Fu consapevole dell'eternità e della morte.
Già tutto le pareva un sogno.
Disse: ''sia lode a Dio, agli arcangeli tutti'''.
E camminò lungo le scale, passo dopo passo il marmo gelido la faceva trasalire.
Ma il candelabro illuminò una porta di ferro.
Una porta che appariva solo se illuminata da quella fiamma.
Solo dalla fiamma verde al centro.
Aprì e si rese conto di essere sulla sommità della torre.
Vaste erano le colline verdi che ella poteva vedere con il suo sguardo sovrano, verde l'erba sotto i suoi piedi già la consolava del marmo freddo.
Posò il candelabro e mai gli parse che il sole fosse più luminoso.
Egli scandiva sillabe di gloria sulle nuvole, egli sorgeva sul lago cristallino a oriente.
''Come è bello e vasto il tuo regno o mio principe'' disse.
''Ma io qui sono prigioniera anche se sulla sommità della torre, il tuo regno è perso per sempre, la morte ha trionfato, sia lode a Dio comunque.''
Un volo di uccelli bianchi, da sinistra a destra le parve il cenno di compiacimento della Divinità alla sua lode.
Scavalcò la ringhiera d'oro e si buttò nel vuoto per uccidersi.
Già vedeva con orrore il terreno verde che le correva incontro, fragile il suo corpo, eppure grave verso la terra e la morte.
Guardò il sole e ne fu estasiata.
Che luce.
Le pietre della torre parevano fatte di solida materia cristallina, l'edera verde era così risplendente, quasi che fosse un santuario.
Vide gli uccelli che volavano e ne fu incantata, volle essere insieme a loro.
E fu solo allora che battè le sue ali.
E si rese conto di averne un paio bianche e di poter volare.
E già il terreno non le correva più incontro e già ella saliva insieme agli uccelli bianchi, sempre più in alto, padrona del suo respiro dell'aria, verso la luce.
Incontrò il principe sulla montagna di smeraldo dove gli uccelli la condussero ed egli le confidò:
''Sapevo che potevi volare quassù, finalmente sei uscita dalla prigione del tuo cuore, dovevi sperimentare la pena dell'abbandono per sapere di essere un angelo e poter volare, i nemici non possono più farti del male, eri tu a doverli sconfiggere con un battito delle tue ali.''
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