Ho sempre pensato che fare lo scrittore implichi di rinunciare alla vita e rimanere ancorati a luoghi solitari come le scogliere di Providence per Howard Philips Lovecraft nonché coltivare una virtù creativa immaginifica che colmi le lacune del grigiore della vita.
Avevo un idea sbagliata, o forse non sono uno scrittore.
Che la vita potesse esplodere in una dimensione creativa lei e dettarmi le pagine di un libro lo ignoravo.
Ma ignoravo e ignoro tutt'ora molte cose.
Stavamo arrivando da Sao Paulo sulla sua compatta ed efficace Chevrolet turbo, io mi ero impigrito dalle ''vacanze'' mentre guidava lei e già solo questo rende l'idea della potenzialità trasformativa della vita.
Mi ritrovavo su un altro continente e per non confondermi troppo guardavo google maps solo a volte , perché ingrandire la mappa e osservare il pallino sul continente sudamericano per me che ero sempre stato in Italia era piuttosto bizzarro e mi lasciava spaesato.
Non è che semplicemente non ero a Torino città natale da me abbandonata e amata, a questo giro ''mi ero allontanato un pò'' ingrandire e vedere il Sudamerica e l'oceano Atlantico del sud era tanto divertente quanto spaesante.
Lei procedeva veloce e decisa per l'autostrada da Sao Paulo a Rio de Janeiro, con una tappa intermedia sempre nello stato di Sao Paulo , un curioso mix di carattere e dolcezza mentre io per una volta mentre viaggiavo con lei non mi abbandonavo al sonno.
A differenza dell'Argentina, il Brasile mi pareva leggermente inquietante e mi teneva desto.
Il paesaggio infatti era ''tropicale cupo'' qualcosa che in effetti il viaggiatore europeo non si attende troppo.
Niente sole, solo nubi basse e nebbie che strisciavano sulle colline verdi del Brasile in rilucenze con una strana luminosità autunnale e lei ironizzava: ''Toscana Brasiliana'' puntando l'accento che diverse volte avevo descritto le colline toscane come sovente cupe e circondate da un alone ultraterreno un pò (molto)funereo.
L'autostrada continuava fra queste colline, forse un pò rovinate anche dagli incendi dove comunque la vegetazione tropicale cresceva su una terra molto rossa, tra un cartellone pubblicitario e cartelloni in cui veniva scritto a caratteri cubitali ''fiscalizacao''(non capivo ancora il portoghese).
Avevo abbandonato le mie insicurezze al letto da cui ero partito tanti anni fa a Torino, avevo rinunciato a essere rassicurato e accettavo che la realtà fosse tanto bella, varia , ondivaga, potente, estrema, stupefacente quanto oggettivamente o soggettivamente poco rassicurante.
Eppure non le avevo del tutto abbandonate.
Ma non ero di certo diventato un cuor di leone, lasciavo che questo film venisse proiettato nei miei occhi, senza rituali di banalizzazione quotidiana, senza routine, senza giustificazioni o autogiustificazioni.
No oggi non sono a lavoro.
Non sto gratificando nessun superego, nessun dovrei essere, sono.
La tappa intermedia era la casa di suo padre.
Morto oramai un anno e mezzo fa.
Me la voleva mostrare come dispiegamento della sua interiorità nei miei confronti.
Io avevo le mie teorie bizzarre come al solito ed ero convinto che fra quelle colline del Brasile e quelle toscane dove vivevo ci fosse un tramite e quel tramite fosse la comune natura di quei luoghi con l'aldilà.
Si era diverso dall'Argentina e visto così il Brasile appariva più cupo, ''più toscano''.
La telefonata ''casuale'' che le era partita ''per caso'' e aveva ''per caso'' riavvicinato i nostri destini percorrendo 11000 km dopo che ci eravamo incontrati a Firenze era partita da quella casa di quel lago dello stato di Sao Paulo in Brasile ed era arrivata alle colline delle serre dove correvo in compagnia de ''Los muertos etruscos''.
Dovevo dare un interpretazione, devo dare un interpretazione a tutto e dunque per me il tramite era quello.
Io avevo sempre creduto di essere una sorta di Ermete psicopompo.
Osservavo le colline con le nuvole grigie basse e una pioviggine quasi ''autunnale'' anche se li era primavera,
Via via si fece buio.
Lei aveva il suo fascino coi rayban anche e sopratutto con le nuvole.
Le stringevo la mano.
Abbiamo superato un check in con la sbarra che li in Brasile pare essere cosa abbastanza comune mentre lei guidava disinvolta di qua e di la su delle strade che si sono fatte sterrate.
Siamo scesi.
La Luna è ricomparsa da sopra le nostre teste dopo tanti giorni che pareva scomparsa.
Era crescente ed era inclinata rovesciata rispetto all'Europa.
L'astro illuminava i nostri corpi tenuemente anche se la vicinanza con l'imponente megalopoli di Sao Paulo impediva di apprezzare appieno le costellazioni per via dell'inquinamento luminoso.
La casa era li mentre le luci dei lampioni si riflettevano nel lago buio.
La casa appariva bella anche se ''trascurata''.
''Mio padre era un po loco ha creato una discesa ultraripida al lago, noi ci divertivamo a guardare la gente che tentava di scendere o salire con la macchina e ridevamo dei loro tentativi''.
Fu in effetti una discesa ''particolare'' con una ripidità oggettivamente bizzarra (forse la discesa più ripida che io abbia visto in una strada) in un luogo che non necessitava di quella ripidità in quanto non era montagna.
Suo padre credo non l'avesse fatto solo per ridere, credo fosse una metafora di come la gente affrontasse la vita, la morte e l'amore o di quanta fiducia avessero in se stessi e di come pigiassero l'acceleratore.
Voleva vedere se lasciavano che fosse tutto di un tratto, ripido e immediato, senza rassicurazioni, voleva vedere come se la cavavano con la gravità, la paura, il lago di fronte.
L'universo e il mondo in ogni caso sono troppo vasti per rimanere soli.
Di botto, in maniera improvvisa percorrendo quella discesa.
Scendemmo dall'auto di fronte al fresco del lago di nero di fronte a noi.
Ci baciammo.
''Vieni con me'' disse lei.
C'erano dei kayak, salimmo sopra e cominciammo a remare.
Ci discostammo dalla riva del lago e un freddo incontrò i nostri corpi, io non nego che avevo paura.
Io avevo un unica via di redenzione dalla paura ed era prestare attenzione al suo corpo, alla velocità della sua remata mentre le acque scivolavano tranquille indietro allontanandoci dalla terraferma.
Voleva mostrarmi qualcosa anche se in modo non verbale.
In precedenza mentre correvamo assieme lei aveva saltato un fossato ed era rimasta aldilà dell'acqua mentre la riva era fangosa.
O meglio io ero rimasto aldiqua attendendo che lei tornasse indietro.
Quell'episodio ci aveva colpito.
Io non avevo saltato perché il fango mi pareva troppo.
Lei era tornata indietro.
L'acqua sembrava un elemento con cui lei aveva familiarità e io no.
Ora l'obbiettivo sembrava attraversare quell'acqua.
Attraversarla assieme.
Così al buio mi faceva paura.
Era nera, era panicogena e in un certo senso era naturale che lo fosse, ma anche no.
Immergersi nel lago, brividi lungo la schiena, quel lago, ma era davvero solo paura, o non sapevo riconoscere le mie emozioni?
Sentivo che quell'acqua era una sorta di tramite, che se avessimo proceduto assieme avremo avuto una sorta di chance di immortalità.
Quella per me era una sorta di barca iniziatica in un Nilo dove noi stavamo preparando noi stessi per l'immortalità, per l'attraversamento della porta della morte thanathos, attraverso eros, entrambi personificati dall'elemento acqua.
Quanto si dovrebbe abbandonarsi alla ''potenza'' della ''paura'' per ritornare ad essere vivi, perché forse appunto, non è paura, è ''potenza'' aldilà dell'impotenza apparente delle circostanze della vita, della riva.
E tu hai paura e ti lasci incantare dal suono dei musici e dei poeti che rimangono sulla spiaggia, che suonano le loro cornamuse mentre intonano canti ai navigatori che arrivarono tanto tempo fa dall'acqua o che tanto tempo fa partirono alla conquista di nuovi mondi.
Sciocchi.
La vita trasborda come onde nei loro cuori se solo la riconoscessero, ma loro credono sia paura, e si radicano ancora più a terra.
La sulla riva come dei Lovecraft inutilmente attaccati al concetto razionale di paura ''europeo'' si concepiscono racconti dell'orrore senza comprendere che solo sulla riva è paura, dopo diventa ''potenza'' oh come si attraversa l'impotenza della vita, gli scogli maledetti sono solo la riva.
Dalla riva pare tutto impossibile, ci si può abbandonare a vene narrative poetiche o prosaiche e stop, mica si può vivere, si può al massimo innalzare canti al sinistro terrore dell'acqua e odi ai popoli che indomiti l'hanno attraversata e i cui discendenti vivono sulle rive.
Celebrare il fatto che i loro discendenti dopotutto hanno abitato sulla tua sponda e che tu in fondo anche aldilà dell'oceano sei ancora sulla tua sponda.
Dopotutto tu cosa ricordi della tua nascita se non onde?
Adesso ricordo quel sogno...
Avevo 3 anni quando sentivo di attraversare quelle onde azzurre e le sognavo mentre con una potenza non adusa a un bambino sognavo di attraversarle con una velocità a dirla tutta inspiegabile come se appunto fossi IO la nave, l'aereo anfibio che le fendeva a velocità folle e adesso il cuore mi sobbalza a quei ricordi perduti.
Morte o nascita?
Un oceano l'abbiamo attraversato tutti e dovremmo ricordarcelo, è inutile ricordare Cristoforo Colombo, tutti veniamo dalla grande acqua.
Non credo che l'acqua significhi solo morte.
Dipende la tua attitudine a buttartici dentro per raggiungere qualcun altro, a dimostrazione che l'ami davvero, a lasciarti circondare da quell'elemento.
E' morte solo vista dalla riva, è nascita per chi attraversa quelle onde, nessun utero, nessuna riva, nessuna certezza, sarà mai sufficientemente rassicurante a vincolarci per sempre alle sue false rassicurazioni, alla finzione di quell'angoscia che in realtà è quella potenza che hai sempre sentito mancarti.
Nel lago li vicino purtroppo suo padre era morto in un incidente aereo.
A un certo punto, al centro del lago lei ha percepito la mia inquietudine.
L'ha affrontata nel suo modo consueto naturale.
Ho respirato, ho smesso per un pò di avere paura di tutto ciò che mi circondava per guardarlo meglio.
La casa era di fronte al di sopra, l'acqua tranquilla nera rifletteva quieta le stelle.
Lei mi disse :''l'acqua è amica, prova a metterci dentro i piedi, nuotiamo qui, buttiamoci dai, è tiepida''.
''No per piacere, non qui, ti voglio seguire, ma sarebbe stupido dirti che non ho paura''.
Io mi limitai a metterci solo i piedi appunto.
Potevo buttarmici dentro?
Li nel centro del lago?
Mi è mancato il coraggio.
Tutto razionalmente appariva incoerente, che ci facevo li in un lago di notte in Brasile?
Ma la razionalità serve a poco.
Ma per il momento ammetto che io me ne servivo ancora per calmare quella paura.
Quella paura così potente di ''annegare'' di ''andare oltre'' che a quel punto poteva diventare un moto di passione dirompente, libido.
''Avviciniamoci a riva se vuoi che nuotiamo, qui non me la sento''
Niente annegamento, niente acqua profonda.
Optai per stare con lei verso riva.
Li ci buttammo.
Nuotammo nelle acque nere di quel lago, nuotammo per dieci minuti buoni.
E venti minuti non sono l'eternità.
Ci eravamo bagnati assieme.
Non l'avevamo di nuovo attraversata anche se ci eravamo bagnati assieme.
Lei non amava le rive, non amava la terra, nemmeno le barche, non era il tipo di donna che posa cretina su una barca di qualche ricco deficiente, lei dalle barche si buttava per nuotare e cosa ancora migliore per nuotare con me, ma la paura non è uno scherzo e sebbene io fossi determinato a seguirla ovunque fui costretto a pregarla di desistere di nuotare ''lì'' al limitare della profondità nera, dove si poteva toccare.
I nostri corpi si incontrarono, ma in acque superficiali, pulite e superficiali, mentre io tenevo a bada la mia paura.
La paura di nuotare, dell'acqua nera porta i corpi a incontrarsi solo in parte.
Spero di aver sentito che la paura è forza, è potenza, che l'angoscia è potenza, che la paura del vuoto è la forza dell'ala dell'uccello che sta imparando a volare.
Non è uno scherzo l'amore, non è uno scherzo il sesso, se Dio ci ha dato un modo per essere dall'altra parte, è scontato che bisogna essere forti per attraversare quell'acqua, ed è scontato che quell'acqua in realtà fa paura, tanta e forte.
A un certo punto le dissi: proviamo a nuotare più in là.
Nuotammo, lei come sirena non era male, io bho.
A un certo punto temevo realmente di affogare quando di punto in bianco una luce squarcio' l'oscurità, ho creduto fosse un angelo o un rapimento alieno che ci puntava la luce in faccia, invece era una barca, un gommone e sopra chi c'era?
Fui incredulo per la natura onirica della visione: era Peyrani sul gommone.
Aveva una birra in mano, la solita steninger.
Lo osservammo increduli, si stava ubriacando con una cerveja in mano, era proprio lui.
Credevo di vedere Dio e l'aldilà e invece vedemmo Peyrani.
Io gridai:
Lo hai visto?
Lei disse: " i tuoi amici hanno la cerveja sulle spalle".
"Ma questo è Igarata o il lago di Arona?"
Come una visione mistica mentre urlavo : "lo avete visto!" il peyrani borracho si allontanava ubriaco sul gommone ridendo loco mentre il gommone girava a vuoto.
Forse io cercavo di comprendere la vita ma Dio mi metteva alla prova con queste visioni, eppure adesso lei mi era testimone il mio amico Peyrani borracho era pure sul lago di Igarata che lei mi disse in lingua locale significa "canoa dell'ubriacone".
Più tardi a Rio sulla spiaggia a 800 km di distanza sull'oceano australe mi bagnai io solo mentre lei mi guardava dalla spiaggia, sentivo che nell'Atlantico suadente del sud c'era un freddo e una nebbia diversa che non c'entrava con la morte, ma c'entrava con la vita, con la natura geografica dei continenti.
La Luna ci osservava da sopra mentre abbracciavo il suo corpo una volta sulla spiaggia io sotto lei sopra, i dos Hirmaos cime bizzarre inargentate dalla luce bianca erano la firma di Dio sul golfo, laddove le luci delle favelas disperate rincorrono le stelle.
Vedevo l'effetto della nebbiolina sulla sua pelle, le faceva venire la pelle d'oca, le nebbie si muovevano dolcemente dalle onde che si infrangevano sulla spiaggia trasvolando vicino alla Luna correndo per il cielo notturno dall'oceano a noi.
Surreale potente suadente dolce e talora inquietante.
Notte tropicale dolce quando al riparo degli alberi frondosi i lampioni si fanno piccoli per lasciare il cielo alla Luna che osserva benevola e officia i riti della vita.
Lei aveva tornato a tenerci per mano, in fondo forse non è successo solo a noi, certo siamo dei privilegiati, ma la Luna ha vigilato il rituale della vita nella volta dell'eternità, e confido nella sua dolcezza e pazienza.
Confido nella sua pazienza e nella possibilità di gettare i petali dei fiori una nuova volta oltre l'oceano, in quelle spiagge aldilà mentre gli alberi frondosi riposano tranquilli e inquieti accarezzati dal tepore della spiaggia e dalle brezze fredde dell'oceano.
La morte è soltanto una riva che ci divide, se non nuotiamo assieme, no l'acqua è vita.
L'esistenza umana è una questione di prospettive.
L'acqua è la grande realtà, ma dipende come la si guarda.
Quell'acqua è vita vista da dentro, se ci entri dentro, se la attraversi.
Oramai il viaggio era giunto alla fine.
Sentivo che quelle nebbie atlantiche sebbene in Brasile erano già Europa e di lì a pochi giorni infatti sarei dovuto tornare sulla ''mia riva'' nelle terre aldiquà, della razionalità, delle certezze, delle paure, delle routine, molto aldilà dell'amore, molto aldilà delle terre del paradiso dove la pelle non si accappona per il freddo ma per altre emozioni, lontano probabilmente anche da Dio, e dal volto vero della Luna.
Ancora una volta divisi, non più un fossato fangoso, ma l'Atlantico immenso, eppure tu l'hai già attraversato, eppure mi aspetti, e quando ritornerò su una riva sarà solo per la promessa di un nuovo incontro, non per sognare da solo e cantare da poeta ai limiti dell'ignoto, ma per attraversarlo con te.
In verità la terra non ti piace e ti fa paura il timore di un passo sbagliato, ma nell'acqua no.
In verità è la terra a essere morte e l'acqua sorride a chi gli volta le spalle e vive immergendosi dentro.
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