mercoledì 2 giugno 2021

Katiuscia

Meli e peri erano in fiore
e Katiuscia stava sull'alta sponda
il fiume scorreva lento
e la nebbia scivolava lungo
la corrente.

Avida è la terra russa di sangue.
Nella nebbia tornano.

La terra.

Eccomi qui.
Katiuscia.


Katiuscia, io, faccio fatica a dire io, non ti dirò mai quello che ho visto qui a Stalingrado.

La terra.
Forse cammini scalza sulla steppa intrecciando fiori sui tuoi capelli biondi, mentre io sono qua.
Se morirò lo farò pensando ai tuoi occhi.

Katiuscia io sono in quella stessa terra che ci ha visto bambini.
Katiuscia io non sono il cigno che danza.
Non mi aspettavo tutto questo.

Katiuscia ho deciso che tornerò.
Per questo quando i soldati qui a Stalingrado hanno sentito la mia poesia e ripetere infinite volte il tuo nome hanno cominciato a chiamare Katiuscie la nostra nuova arma.
Urlano nella notte, corrono nel cielo a cercare le stelle, e poi deflagrano nella morte.

O mio amore lontano, qui il cielo è rosso.
Stalingrado brucia.
I missili che portano il tuo nome partono a batteria illuminando il cielo di rosso.
Rossa è la nostra bandiera, il colore del fuoco, dell'amore, del sangue.

Faccio fatica a combattere.

Penso sempre a te.

Era una mattina di Aprile quando fece una nevicata improvvisa, il burjan soffiava impetuoso, e tu eri lontano dal villaggio.

Ti guardavo fuori dalla finestra da dentro casa.

I miei occhi spalancati.

Bellezza, pura, bianca.

Soffice silenzio, bellezza muta, paradiso di ghiaccio, omaggio al silenzio.

Ma tu gridavi e ti lamentavi.

Eri scalza e vestita in modo insufficiente.

Avevi raccolto dei fiori in una mattina di primavera e ti eri allontanata dal tuo villaggio.

La bufera di neve ti aveva colta impreparata in un giorno di Aprile.

Tu eri l'apice della bellezza, il sorriso lieve.

Eppure urlavi e piangevi.

Io ero un ragazzino.

Non capivo perché la bellezza urlasse di dolore.

Ma lo sentivo il tuo, e mi stringeva il cuore.

Ora sono qui e canto poesie a Katiuscia e i razzi Katiuscia urlano di dolore nella notte innevata di Stalingrado.

Brucia la passione, e distrugge, uccide.

Katiuscia io soffro e soffro orribilmente.

Il tedesco ha un grosso fucile mitragliatore.

Nella terra, quella stessa morbida terra che i tuoi piedi belli hanno calpestato , ora io ci sto strisciando.

E' questa la mia consolazione.

Striscio come un verme e questo tu non lo dovrai mai sapere se mai tornerò al villaggio.

Katiuscia amore, tu gridavi di dolore nella neve, e i missili urlano nella notte innevata di Stalingrado.

Purezza, eppure qui a strisciare come un verme.

Ho una pistola con un solo proiettile.

Il tedesco continua a bersagliarmi con la sua scarica di fuoco mentre mi avvicino a lui strisciando come un verme nella fredda terra innevata.

La caratteristica dell'uomo è la statura eretta.

Ma io striscio.

Dicono di essere superuomini costoro.

E che io sono un sottouomo.

Perché sono russo.

Striscio piangendo tra le macerie verso il nemico.

Non posso alzarmi.

O sarò colpito.

Vorrei strisciare ai piedi di Katiuscia e portarle un fiore mentre siamo nella steppa.

Ora ho strisciato fra le macerie gelate.

Il tedesco ha finito i proiettili.

Io gli sono a pochi metri.

Mi alzo e gli chiedo cos'è un uomo in russo.

Lui non capisce e alza le mani in segno di resa pensando che io lo stia minacciando.

Ho il proiettile in canna ma non gli punto la pistola addosso.

Lo lascio scappare via.

Infine quando è a 100 metri di distanza alzo la pistola e lo centro nonostante la distanza.

Né all'amore, né alla morte si può sfuggire.

Forse questo è un uomo.

Katiuscia ti ricordi quella giornata di Aprile?

Ti ho fatta entrare e ti ho scaldata con dell'idromele.

Sei stata con me tutta la notte.

Hai dormito con me e io non osavo toccarti.

Io ero sveglio.

L'incanto della tua pelle bianca, bianca come la neve.

Il tuo velo nero come la notte.

Non ho proferito una singola parola.

Ti fissavo solo stupefatto, non capivo cosa c'era dentro di me.

Poi mi hai salutato perché il sole del mattino aveva già sciolto la neve e faceva già molto più tiepido.

Ti ho guardato allontanarti, pensando che tutto fosse finito.

Quando eri oltre l'orizzonte ho gridato il tuo nome.

Non so perché...

Era un grido di dolore.

Ho chiuso la porta, e singhiozzando raccoglievo i fiori che avevi lasciato sul letto.

Ho sentito bussare alla porta e mi sono alzato pensando fosse mia madre.

Eri tu invece.

Eri ritornata.

Mi sono inginocchiato e ti ho dato il mio fiore.

Mi hai amato.

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