martedì 25 agosto 2020

Mio amore

 

I lampioni piangevano lacrime amare di luce gialla,gialla non come il sole, che aveva appena terminato la sua inutile vanità nelle tenebre della notte, e in quella città senza cielo si compiva l'ultimo ennesimo sacrificio.

 

Il sacrificio delle spade.

 

Berlino est, lui italiano in cerca di lavoro con pochi soldi scopre che la città sapeva offrirgli più amore che lavoro, e credendo di andare a fare l'avvitatore di bulloni, eseguendo ordini in crucco, era finito in una casbah innevata.

 

C'erano tutte le razze e gli italiani devono fare i playboy, anche gli aspiranti avvitatori di bulloni.

 

Era tutto programmato nella mente del crucco quindi lui doveva fare il play boy anche se aspirava ad avvitare i bulloni, e cominciando dalle signore più mature si stava facendo una certa fama e aveva cominciato  a sentire meno la fame, con le ricche mance della carne marcia delle signore ingrigite.

 

Ma lui non se ne aveva a male , perché spendeva quegli stessi soldi in freulen ben più giovani in un circolo vizioso, mentre la neve eterna della città senza cielo, soffocava il suo dolore nell'ovatta.

 

Di locale, in locale, in una spirale discendente di degrado, lui il solito coglione italiano che idealizzava l'estero era finito in un  incrocio tra Sodoma e Gomorra che aveva finito per stritolargli il cuore.

 

Giaceva in una palla di vetro di quelle che si vendono per Natale, giaceva sanguinante, dentro una bolla ghiacciata di neve, alcool e ogni genere di sostanze.

 

Non gli tirava nemmeno più, si faceva schifo, aveva schifo del sesso e di se stesso, si sentiva una merce di scambio tra due generazioni di donne: quelle che l'acido muriatico del tempo aveva deturpato i lineamenti, e quelle nel fiore di una gioventù di ghiaccio, attrici del piacere.

 

Lui aveva smesso di credere alle loro smorfie.

 

E giaceva freddo e inerte come il resto della popolazione, e per giunta non aveva ancora avvitato nessun bullone.

 

Finché vagando nel labirinto della città, con i polmoni ghiacciati e la pelle che brucia di gelo rovente, si era avvicinato al quartiere degli anarchici.

 

Quanto di più diverso si immaginava di una città e di un paese che descrivono come un perfetto carillon.

 

Ma lui non si aspettava le siringhe per terra, sporche di sangue e di una sostanza che lui mai aveva provato e mai avrebbe avuto intenzione di provare.

 

Le siringhe di eroina erano i denti della bocca di Lucifero in persona e lui c'era finito dentro.

 

Non doveva farsi mordere ma la sua disperazione era troppa.

 

La neve cadeva sui cassonetti in fiamme, le sue lacrime erano ghiaccio puro immacolato, non ancora avvelenato dal morso del serpente.

 

Ignaro del frutto dell'Albero del bene e del male.

 

I suoi occhi furono troppo.

 

Gelo.

 

Gelo puro.

 

Non astio.

 

Non odio.

 

Solo il vuoto.

 

Il vuoto di due occhi svuotati dal proprio contenuto di liquido acanto, svuotati dell'innocenza di una giovane diciassettenne, vagavano vivaci in cerca di uno stimolo, di un po' di calore in quella tundra ghiacciata di cemento e asfalto.

 

E i lampioni solo loro, piangevano lacrime gialle, mentre i suoi occhi no, non potevano più piangere, una morte di soave piacere li aveva svuotati.

 

Cosa c'era in quella siringa che ti illudeva di iniettarti piacere e ti rubava l'anima?

 

Era all'inferno.

 

I cassonetti bruciavano e la neve cadeva a rallentatore in una palla di vetro riempita di liquida eroina, in un cartone di Natale disegnato da Lucifero in persona, con le risate agghiaccianti degli operai turchi sbronzi...

 

Ma dove cazzo era finito?

 

Non era il paese dell'ordine e della pulizia?

 

E lui in quella palla…

 

Tenuta in pugno da Lucifero.

 

I suoi occhi, gli occhi di lei.

 

Il portatore di luce, finito nelle tenebre.

 

I suoi occhi stessi erano spade che lo trapassavano da parte a parte.

 

La sua figa umida era ghiaccio.

 

Le porte della percezione erano state aperte e il gelo degli spazi infiniti, l'utero nero nel quale siamo stati concepiti, le avevano gelato l'anima.

 

Il flutto gelido dell'eternità era entrato nell'attimo delle vette immense del piacere innevato, bianco puro, gelido, tanto alto da superare il cielo di nubi eternamente corrucciate, e vedere il sole della vita splendere negli azzurri spazi dei suoi occhi.

 

Per poi cadere nell'abisso dell'oblio.

 

Ade.

 

Il dolce Lete, dell'averno, loro, templari di una nuova religione erano semplici ombre.

 

 

 

La nuova religione

 

 

 

 

 

 

Pulsa la luce lontana

 piccolo occhio rosso

 delle torri dell'aeroporto,

 guarda attonito la volta nera del cielo.

 La città

 è un arazzo di asfalto e cemento

 disegnato fra i rovi gelati.

 Mi inebrio di luci artificiali

 eroina di fotoni

 ai vapori di sodio.

 La città è un meraviglioso

 firmamento rovesciato e luccicante.

 Nelle mie vene

 scorre benzopirene,

 mentre sono nella vasca da bagno

 nel buio

 calda isola,

 nel gelo assoluto della notte.

 Cattedrali di tubi al neon

 acciaio e cisterne di nafta,

 ciminiere capannoni e silos,

 siamo i fedeli di una nuova religione.

 Il suono dei turboreattori

 degli aerei che atterrano

 è un mantra tibetano,

 un Om cosmico

 che emerge dalla gola della città

 e fa vibrare le nostre anime

 di fantasmi nel mondo artificiale.

 Il suono dei tir delle autostrade

 è  rumore delle onde

 di un'oceano lontano

 che si infrangono

 sui vetri sottili della mia abitazione

 intarsiati da una trina di ghiaccio.

 Oh, come mi cullano

 questo mare di asfalto

 è pieno di onde

 di serbatoi e motori diesel.

 Esco lavato dal balsamo della notte metropolitana,

 vado al balcone alto 

 sul vasto mare di asfalto.

 I miei capelli sventolano al vento gelido

 della notte d'inverno.

 Il faro dell'aeroporto

 è un coltello

 che taglia lo stomaco

 del cielo nero

 e sanguina luci vermiglie

 dai lampioni

  ai margini

 dei deserti di cemento armato.

 Il mio Dio elettrico

 dà la vita e la morte

 ai fantasmi dei fari

 delle automobili

 che si riflettono

 sul soffitto della mia stanza.

 Il suo corpo è cemento

  il suo sangue è gasolio.

 Faccio la comunione

 fra angeli chimici

 di ketamina e PCP.

 Prendete e mangiatene tutti

 il mio corpo è acciaio e asfalto

 sia la vostra redenzione,

 fedeli della chiesa della notte

 delle città industriali abbandonate.

 

 

 

Anche lui stava per cedere,per cercare redenzione nel Cristo dagli occhi vuoti, crocefisso non con chiodi, ma con spade alla vita,senza la speranza di una morte, senza la speranza di una redenzione.

 

 

 

Noi tossici

 

 

 

 

 

Noi tossici

 paradiso estemporaneo

 degli angeli.

 Solo quando

 ci caliamo

 smettono

 di piangere,

 e dormono

 sogni di strade solitarie

 e amano

 la disperazione voluttuosa

 di una siringa;

 dolce vento d'autunno

 dei nostri corpi giovani

 abbandonati

 dalla propria anima

 che vaga solitaria

 in attesa del nostro

 risveglio.

 Prima che sia troppo tardi

 perché Dio si ricordi di noi

 e ci strappi dall'orrore

 per riportarci a lui

 e seppellire i nostri ricordi

 nel cimitero delle anime dimenticate.

 Un bacio in fronte dal tuo angelo

 dolce cucciola prima che ti risvegli,

 perché quando ti risveglierai

 il cielo nero sarà la tua coperta,

 l'asfalto bagnato 

  il tuo letto

 e solo le stelle,solo le stelle

 non ti avranno abbandonato.

 

 

 

 

 

Il piacere, il dolore una clessidra che rovesciata almeno un milione di volte aveva la forma di una siringa.

 

No le stelle non volevano che il suo cuore venisse gettato nell'oceano dell'oblio contenuto nella siringa, ma della statua di ghiaccio nell'abisso ai confini tra la vita e la morte.

 

Le ali nere della notte si erano dispiegate,e lo avevano portato ai piedi di quella statua.

 

Le sue forme parevano disegnate dalle stesse mani del Brunelleschi e del Canova.

 

Il tocco dei suoi tacchi a spillo sull’asfalto era come quello del punteruolo di Canova nel suo cuore ormai di marmo freddo 

 

La gelida pietra del suo cuore aveva preso le forme della statua di Amore e Psiche e l’olio bollente della sua passione gocciolava dalla lampada fiammeggiante dei suoi occhi.

 

Una torcia nella nebbia.

 

 Fuoco nel ghiaccio.

 

Un sole di morte, si era acceso nella notte,ma di notte, ma di notte è la luna che gioca strani scherzi.

 

 

 

Polvere di Luna

 

 

Io ti amo,

 non vorrei vederti invecchiare.

 Ma i miei occhi ciechi

 non vedono che tu

 non una dea come sembri,

 ma una fragile mortale

 di carne e sangue pulsante

 niente e più sei fatta

 di un grumo di cellule.

 E allora io mi aggrappo

 all'attimo fuggente

 perché tu immobile

 nel tempo ti sospenda.

 Non più carne morbida,

 ma una statua eburnea.

 I tuoi piedi di avorio

 nel pavimento di marmo

 timidamente si riflettono.

 Ma è tutto inutile:

 tu distruggi l'incantesimo.

 I tuoi mobili occhi di silfide velenosa

 e il tuo corpo nervoso

 di arcaico serpente malvagio,

 l'eterno femminino sfuggente

 muovi sinuosa e maligna.

 Ma io la sera aspetto,

 che la luna sorga

 e la candida polvere di luna

 dal cielo venga dolcemente soffiata

 a trasfigurare

 il prosaico mondo.

 E mentre dormo e ti sogno,

 polvere di luna,

 in una dea greca

 dalla pelle bianca ti trasforma.

 Ma è solo un sogno,

 solo gli uomini

 si congiungono carnalmente

 con i fantasmi

 della notte vasta e immobile,

 e da essi generano

 la prole della notte.

 Fugge nei recessi delle metropoli,

 lontano dagli isterici

 lampioni elettrici,

 ne vedi pallidi riflessi

 negli occhi degli eroinomani,

 mentre ancora la loro anima

 si libra in cielo

 fino ai cancelli del paradiso

 per essere respinti

 da due cherubini

 dalle spade fiammeggianti.

 

Un magnetismo ipnotico li aveva fatti incontrare,il magnetismo degli specchi che si riflettono, occhi negli occhi ,specchio nello specchio,e il dipinto della tua anima tra di essi, diventa riflesso infinito.

 

Un'aereo si alzò e oltrepassò le nubi della città senza cielo, un amore era nato.

 

Lei lo punse con lo sguardo gelido,i tacchi a spillo nella neve, e lo gelò con questa uscita:

 

"Siediti sul trono di spade"

 

"Cosa?"

 

"Benvenuto nel regno della neve più pura, quella che si sniffa"...

 

"Mi prendi per il culo?"

 

"Esattamente".

 

E con una mano sul suo fondoschiena lo condusse nella stanza 101.

 

"La stanza delle torture"

 

"E quale tortura mi aspetta?"

 

"Quella di avermi e poi perdermi per sempre".

 

"Per sempre?"

 

"Per sempre"

 

 

"Perché?

 

"Perché più breve è l'amore più le citatrici delle sue unghie rimarranno nel tempo"

 

"Il nostro durerà un istante e rimarrà dentro di te per sempre,amare è la morte più dolce"

 

 Diario di lui:


''

 Il suo tratto caratteristico,erano 2 occhi molto distanti.

Questo non inficiava minimamente la sua bellezza.
Alta quasi 1,80, curata, viveva il mondo come una passerella per le sue sfilate di moda.
Ci aveva stupiti tutti, ed io l'aveva puntata subito,neanche come donna, perché lei non lo era.
Non so cosa fosse, senz'altro una delle tante creature che mi avevano convinto che l'umanità era semplicemente un esperimento fallito.
Gelida, sincera, ninfomane.
Un dettaglio irrisorio, eroinomane.
Non so perché , ma più vado avanti con la vita più il suo cinismo edonista mi pare l'unica stella polare che possa guidarci in questo deserto di finte relazioni umane.
Sapeva 4 lingue e spesso scriveva poesie in una qualsiasi come se fosse madre lingua.
Era come se la droga fosse una sorta di ovatta che lei utilizzava perché la sua intelligenza acutissima non penetrasse come un coltello all'interno della sua fragile carne.
E venne il giorno,in cui io mi ero ripreso ero ritornato un'uomo e avevo deciso di tentare Scilla e Cariddi,consapevole che si poteva sprofondare.
Le feci leggere la mia poesia mentre avevo il cazzo turgido per la sua bellezza, anche per la sua intelligenza, sapevo che io potevo penetrare fisicamente in lei, ma che lei poteva penetrarmi solo coi suoi occhi molto più profondamente.

Overdose

I miei occhi
aperti per poco,
mentre giaccio distesa
nel retro di una vecchia mercedes
vedono solo
lampioni che si susseguono,
luci confuse,
Non capisco più nulla
non sono più nulla,
questo è il mio mondo ora:
lampione,
buio,
lampione,
buio,
lampione,
buio,
...
solo il ricordo
della bambina che ero,
della bambina che sono
fa scendere ancora
qualche lacrima,
su questi occhi vuoti.
Ma presto i negri
mi scaricheranno nel canale
e questi occhi
diventeranno ghiaccio.
E' sera,
un alba che non verrà,
il vuoto,
il nero,
l'abisso,
salveranno la mia tenera
giovane carne,
dall'orda di cannibali
chiamati giornalisti
Le loro bocche che si muovono
nelle tv, per strapparla e farla a pezzi.
Ma io sono ancora la bambina che ride,
e ride e corre
spensierata
nel grande prato verde
fino al ciglio di un burrone
e ora guarda stranita,
OLTRE...


Presi il foglio dalle sue mani e l'abbracciai forte, sentivo che qualcosa in lei, della sua maschera aveva ceduto.
Immediatamente mi mise la lingua in bocca e cercò di abbassarmi i pantaloni.
Io la bloccai.
''Ti amo anche se per poco, vieni un attimo con me prima devo fare una cosa, non me ne voglio andare senza prima averla fatta, poi saremo liberi di dimenticarci anche se io non ti dimenticherò.''
Così lei mi guardò stranita, ma si lasciò condurre.
La portai nel bagno dove era pieno di polverina magica, eroina no, per fortuna, non ancora,
Lei mi diede una slinguazzata e tentò di nuovo di ricominciare, io la bloccai,in un modo che stranamente lei sentì piacevole, pi§ piacevole del sesso, perché qualcuno la stava considerando come persona anche se lei non capiva come.
''Adesso amore'', le dissi mentre le accarezzavo i capelli e le baciavo la testa ,''ora guardati allo specchio.''
All'inizio si riassestò i capelli civettuola come se niente fosse, poi all'improvviso un fulmine l'attraversò da parte a parte facendola fremere come in un elettroshock.
Continuava a guardarsi allo specchio, incominciò a tremare.
Io la strinsi forte, le dissi soffiandole sul collo: ''continua''
''Dov'è finita la vecchia bambina?Sai che sei ancora tu, cucciola...'''
Lei impallidì completamente, disse tremando:''Io non so più chi sono''.
Non piangeva perché non era capace: la sua angoscia era troppa.
Divenne una statua di cera immobile, gli occhi fissi in se stessi, persi, ebbi la stessa impressione di quando avevo fatto visita all'obitorio, quegli occhi vitrei, non erano di una persona viva, qualcosa l'aveva uccisa.
In un microsecondo lei si divincolò dalla mia presa e si chiuse nello stanzino.
Io sapevo cosa aveva in mente, e con botte sempre più forti sfondai la porta.
Ma era troppo tardi.
La spada conficcata nel braccio aveva iniettato una dose mortale.
Il suo cuore non batteva più.
Ancora in tailleur e tacchi a spillo si era data la morte.
Gli occhi di bambola nel vuoto, li richiusi delicatamente.
Ebbi una strana idea, farla finita con lei e porle la mia testa nel suo grembo.
Un utero nero chiamato morte, questa volta, il suo.
Poi mi inginocchiai le baciai la bocca già irrigidita.

Non riuscì nemmeno a piangere,me ne andai col cuore gonfio di dolore.

Fine del diario di lui.

L'autostrada scorreva ipnotica e vuota, la città trasfigurata dalla neve era fatta da mille finestre che lo guardavano insolenti ricordandogli il paradiso perduto di un semplice incontro tra corpi, senza pretese di salvare nessuno,ma un fascio di luce venuto dal cielo aveva diviso i loro corpi dall'amplesso per sempre.

Perduti in un abisso senza fondo e senza luce avevano trovato conforto nelle loro carni.

Ma il regno della luce li aveva divisi per sempre,e adesso lei cavalcava serena nel prato delle valchirie,rapita da una luce malvagia che lo aveva per sempre sottratto a lui.

Cavalcava verso il sole...

Quale pretesa assurda salvarla, a costo di perderla, solo l'amore,  il sangue puro innocente che scorreva nelle sue vene, aveva mondato il sangue tossico di lei.

Lui naufrago nel buio, lei valchiria sull'ippogrifo verso il sole.

E mentre cavalcava il suo cavallo alato su un pavimento di stelle, oltre tutto, oltre l'abisso di chi soffoca il dolore, i suoi occhi finalmente poterono piangere, e piansero lacrime pure sulla città inquinata.

l'Insolente oltraggio andava punito.

E la pioggia giunse sull'asfalto ghiacciato facendo perdere il controllo del suo mezzo.

Uno schianto un botto,un tonfo nel ghiaccio bagnato di lacrime della bambina che aveva riscoperto di essere.

Il parabrezza si ruppe in mille cristalli che gli ferirono gli occhi e lo accecarono.

Lui cercava le mani di lei, ma affondava e più non le trovava, no, la luce maligna l'aveva salvata, ella era pura, pura dentro.

Il suo cuore ormai di marmo lo affondò negli abissi mentre cercava ancora le mani di lei.

Buio,utero nero,morte, nessuna stella in cielo a ricordare.

A ricordare il mio amore.

 

 

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Gentile Simone,

 

ho ricevuto il materiale integrativo e la ringrazio, ne prenderò visione e le darò aggiornamenti in merito all’eventuale progetto editoriale.

 

 

 

Un saluto cordiale

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