sabato 28 agosto 2021

Campane

Se io ti raccontassi

che le nuvole

non sentono le campane,

ti tacerei che serbano le ore,

per nevicare lentamente

dentro il nostro cuore.

Abbaiano cani 

dietro le vie.

Maturano i frutti

sugli alberi.

Il silenzio è sovrano

alle porte del cielo.

Si allungano le ombre,

fra gli ulivi

ed il tempio,

bianca è la nuvola,

bianco è il marmo,

bianca è l'anima

 silenziosa.

Se ti cercheranno fra i cipressi,

sentiranno solo il tuo profumo,

bianca nuvola  nel sole,

d'oro i tuoi capelli

ineffabile,

la mia mano

serba una lucciola,

e tu sei lì.

Accarezza un gatto

e tu sei li.

Curiosi fra le finestre

che si accendono la sera,

ma io accarezzo il vuoto,

e allora ti tengo per mano.


Il vino ebbro

e le erbe gialle

che ti ho offerto al fondo della valle,

sono cipria rosa,

sulle tue gote al tramonto,

mentre la collina imbrunisce.

Se vorrai, attenderemo

le stelle nelle dimore

degli dei.

I fuochi quieti

sull'Olimpo

giacciono spenti,

gli dei sono fuggiti da questo mondo

per andare in altri castelli

su altre stelle.

Io ti offro il profumo dell'olivo

sul mare,

la pace serena del fuoco.

Il fumo acre

sale nel vento,

le campane continueranno

a suonare

dammi la mano

e voliamo nella notte

le sentiremo nel tempio

che si affaccia

nell'eterno immenso mare.

E la Luna piena

proietta ombre,

potremo solo dimenticare.


sabato 21 agosto 2021

Il deserto

 Mi ero addormentato durante la carovana notturna nel Sirhan.

Quando il sole mi svegliò mi resi conto dell'incubo, solo,il sole incominciava a splendere e il deserto come uno specchio feriva le mie palpebre.

Cercai di orientarmi, ma nulla mi aiutava.

Il deserto piatto e roccioso feriva le zampe del cammello abituato ai deserti sabbiosi.

L'animale dopo 6 ore di sole e di vento polveroso si accasciò.

Ero senza speranza.

I morsi della sete incominciavano a farsi sentire.

Venne il rosso della sera e poi l'oscurità.

Le stelle fulgevano fra i deserti dell'universo.

Mi accasciai fra le selci cercando con le mani qualche arbusto per accendere un fuoco.

Il vento è come il destino, e il vento mi avrebbe portato via.

Avevo sete, una sete feroce, e tutto il mondo sembrava aver sete.

Le stelle, le guardavamo con occhi giovani interrogandole sui nostri amori giovanili, e ora io vedevo l'immenso deserto del cosmo.

Su altri pianeti quei puntini flebili erano soli inclementi che sommergevano di luce qualche sfortunato incauto perso in una petrosa replica del deserto siriaco.

Non mi interessava della loro fulgida bellezza.

Il mondo è un cerchio.

Una sorgente che si nutre di sè medesima.

Che cosa mi stava rivelando il deserto prima di darmi la morte?

Cercavo nel wadi Fahir tracce di acqua, aveva piovuto l'anno scorso di piogge torrenziali, forse ne era rimasto qualcosa.

Vidi una stella cadente, espressi un desiderio, trovare una compagna.

Fu istintivo, nel deliquio della sete e del bisogno di acqua e di ritrovare la strada per Damasco avevo espresso quel desiderio.

Mi pentii di averlo fatto, ma le stelle cadenti sono un attimo, e rivelano il profondo del cuore.

Mi accasciai sentendo in me crescere il panico.

Guardavo le stelle, o come erano crudeli.

Come riversavano la loro luce su milioni, anzi miliardi di mondi sabbiosi e petrosi.

Fortunati quelli dove non c'era vita.

Altrove qualcuno sicuramente piu' di uno, sicuramente milioni si erano persi e giacevano esangui in deserti petrosi con luci di stelle di chi sa quale colore.

Già di chi sa quale colore.

Di chi sa quale colore.

Di chi sa quale colore.

Questa riflessione si ripeteva ritmica circolare nella mia mente.

Il mondo è un cerchio, una sorgente che alimenta se stessa.

Un rincorrersi di anime in cerchi, senza potere, senza mai potere trovarsi, senza mai fermarsi, come le stelle, i pianeti che ruotano.

Mi persi nel deliquio.

Chiusi gli occhi e mi sforzai di vedere il cielo.

Milioni di albe su milioni di mondi e io qui, qui dove?

L'alba non mi troverà, ''qui''.

Aprì gli occhi e vidi che il vento soffiava, sempre , sempre.

Ma in che direzione va il mondo?

Ho sete.

Dov'è la sorgente di tutto questo?

Mi sforzai di risalire ogni singolo pensiero, ogni singola percezione.

Era faticoso.

Tutto va sempre ''avanti'' e va bene così fino a che non ci si perde.

Fammi risalire.

Fammi risalire l'intero universo, di piu'.

La bocca arida, il cuore arido, la mente arida.

Dove zampilla la sorgente di tutto, se non altro di me?

Risalii il vento, i suoi mulinelli, il confine dell'aria con il vuoto, eppure concetti immagini, non importa risalii.

Aprii gli occhi.

''La stella nera, lo zenit celeste, la luce uccide, acceca, immagini, nuvole rade, pioggie antiche.

La stella nera, l'ho sentita pulsare nel cuore dell'universo.

I suoi raggi di oscurità creano la grande notte celeste.

Ora fa finalmente fresco, grazie alla stella nera.

Noi sfortunati che abbiamo solo il grande cielo come compagno, accediamo alla sua pulsazione.

Stella nera chi sei?

Sento la tua pulsazione, il cerchio è solo un immagine, la stella nera uccide le immagini.

Il cerchio non esiste, o meglio esiste e noi non ne possiamo cogliere l'essenza, perchè la sua immagine è solo un immagine.''

Smisi di guardare le stelle e mi resi conto degli spazi vuoti neri fra esse.

Un pensiero si fece largo nella mia mente.

''I giardini del paradiso dove fiumi di latte e miele scorrono.''

No.

Questo è l'inizio della fine.

Io voglio la fine dell'inizio.

Voglio la sorgente.

Provai a vedere le pietre poi a risalirle, a risalire, è solo una percezione un flusso una corrente.

Cercai di risalire con fatica il tempo, lo spazio, i deserti dell'universo.

Mi resi conto che la stella nera era anche vuota.

Le offrì il mio dolore.

La mia vita.

Perché lei lo trasformasse nei suoi raggi invisibili.

Entrai nella stella nera, sentii i desideri inappagati, le vite vissute e non vissute, le sofferenze vane.

Di tutti i dispersi del deserto cosmico.

E aprii gli occhi all'interno.

Oh che desolazione.

Questo deserto siriaco, questo grande universo è il mio cuore.

E' vuoto solo e desolato.

Se io potessi sentire, amare, sul serio, ci sarebbe acqua.

Sento solo tristezza, cerco di colmarla in tutti i modi, ma io sono vuoto.

Non tenerezza, niente.

Come fare sgorgare acqua dalla pietra?

Provai un briciolo di...o mio Dio...di niente.

Immensi deserti.

Soli ciechi uccidono di luce.

Stella nera aiutami.

Mi resi conto di non ricordarmi il colore degli occhi di mia madre.

Piansi.

Dentro la grotta del mio cuore emerse qualcosa.

Aprii gli occhi piangenti di me bambino che ha dimenticato gli occhi di sua madre.

Non c'erano piu' stelle.

Fulgide belle e fatue.

Solo il buio totale.

Pensai di essere morto.

Mentre piangevo un lampo illuminò il cielo.

Mi parve di vederli per un secondo.

Erano verdi come i miei.

Piangevo e incominciò a piovere.

Una pioggia forte, il wadi Zahir si riempì e dovetti alzarmi perché la sua corrente si gonfiava, il torrente morto aveva ripreso vita.

Bevvi avidamente, acqua.

Acqua dal cielo, sapore di pioggia.

Anche il cammello bevve e si rinfrancò.

Quando tutto era cessato ci addormentammo.

All'alba mi svegliai e il deserto era fiorito.

Segui la corrente del wadi Zahir e arrivai a Damasco.

Ero salvo.

Avevo fame e vidi una ragazza che vendeva datteri.

Era coperta dalla testa ai piedi tranne gli occhi.

Erano quelli.

lunedì 9 agosto 2021

Il vecchio cieco

 Si erano fatti beffe di lui, il vecchio mendicante cieco dopo aver bevuto un pò di sakè sembrava giocare con le mani.

I due samurai fecero una scommessa.

Chi dei due sarebbe riuscito con la spada a mozzargli il nodo del kimono.

Si fece avanti Yocho.

Si avvicinò prese la mira e gli mozzò il nodo del vecchio kimono sporco.

Si girò con aria tronfia per la sua abilità.

Improvvisamente non vide piu' nulla, il vento aveva preso con sè il kimono del vecchio mendicante cieco e con esso gli aveva avvolto il volto e il busto.

Il vecchio mendicante cieco a torso nudo si avvicinò a Yocho.

Prese la spada al samurai e mozzò la sua testa.

Sul petto del vecchio mendicante c'erano tatuate delle nuvole.

Prese la testa inviluppata nel kimono e la gettò via.

''Cibo per i gatti'' disse.

Sfilò il suo kimono e se lo mise addosso.

L'altro samurai Toyotomo lanciò un grido.

''Come osi vecchio pazzo uccidere un samurai? Verrai giustiziato!''

Il vecchio mendicante sembrava non sentire o meglio sentiva qualcos'altro.

Toyotomo si fece avanti furente a colpo sicuro e sferrò il colpo.

Il vecchio mendicante si chinò per raccogliere un soffione.

Mentre l'altro sferrava il colpo lui da dietro gli infilò la katana nel petto e intanto raccolse il soffione.

Toyotomo rimase alcuni istanti agonizzante cadde in ginocchio davanti a lui.

Il vecchio mendicante parlò: ''Cosa vedi, tu hai la disgrazia della vista, dimmi cosa vedi''

La spada gli era caduta davanti con il riflesso del sole, improvvisamente il riflesso sparì, alzò gli occhi e vide che una nube lo oscurava.

In quello stesso istante il vecchio mendicante gli mozzò la testa di netto.

''Una nube, quella che hai visto dev'essere come voi vedete le nubi, io sono una nube le nubi si notano solo quando oscurano il sole, le nubi sono cieche.''

Soffiò nel soffione i cui petali si dispersero nel vento.

Mise la spada nel fodero e ricominciò a manipolare il vuoto, camminando lentamente fra la gente incredula.

Non era forse Zaitochi il vecchio mendicante cieco? Per quel che ne sapeva la gente aveva piu' dimestichezza con le bottiglie che con le spade.

Lui procedeva lento fra la gente.

Improvvisamente la nube si ritirò dal sole, la gente guardò di nuovo il sole, e guardò lui, non c'era piu'.

La notizia che il vecchio Zaitochi aveva ucciso due valenti giovani samurai si sparse per la provincia.

Subito il clan dei Nabekura si mosse alla ricerca del vecchio per vendicarli, ma nessuno lo trovava.

Una sera  mentre dei vecchi salici ondeggiavano al vento e le lanterne rosse danzavano in un gioco di ombre che si rincorrevano Zaitochi emerse lento dall'ombra.

Era sempre lui.

Il vecchio Zaitochi, eppure questa volta non passò inosservato come al solito.

Si avviò verso il banco e prese una busta con del riso dentro lo lasciò cadere sul tavolo e chiese in cambio del sakè.

Il proprietario della locanda glielo porse, lui lo prese lentamente.

Mentre faceva questo, credendo di non essere vistoil locandiere fece cenni agli altri perché avvisassero i Nabekura della presenza del vecchio.

Il vecchio prese il sakè e lo versò per terra.

''Io non baratto il mio riso con chi non sa farsi gli affari propri, ridammelo indietro.''

''Tu vedi un vecchio.''

''Io non vedo nulla.''

Il proprietario della locanda scappò.

Il vento era sempre più forte ed egli uscì alla luce delle lanterne sballottate dal vento.

Gli uomini del clan di Nabekura erano arrivati.

''Non bisogna mai farsi trovare in ritardo con l'appuntamento con la morte.''

Disse il vecchio.

''Sono d'accordo con te'' esordì Yamamoto.

''Ti stai preparando alla tua morte.''

''Che almeno sia degna.''

''Temo tu abbia equivocato il senso delle mie parole.''

Disse il vecchio cieco.

Lui stava immobile mentre le luci delle lanterne gli danzavano intorno.

Gli sferrò un colpo con molta cautela ma forte e preciso.

Il kimono si accasciò.

Rise esultante, aveva vendicato il clan dei Nabekura.

Da dietro di lui una voce lo interrogò.

''Cosa vedi?''

Lui guardò il cielo limpido senza nubi.

''La morte è come un cielo limpido, questo tu vedi e io non posso vedere.''

Il vecchio nudo lo sventrò con un colpo di Katana.

Riprese il suo kimono e se lo mise.

Camminò lento verso il Toro dell'ingresso del cimitero.

Entrarono nel cimitero, l'intero klan dei Nabekura.

Nessuno ne uscì.

Per ore.

Il vento continuava a sferzare il bosco e la locanda, la gente era impaurita.

Dal Toro uscì il vecchio cieco ciondolante.

''Ho visto molte cose, io non posso vedere come voi.''

Un avventore si fiondò nel cimitero a vedere, erano tutti morti.

''Chi sei?''

Gli chiese un altro vecchio.

''Nemmeno io so bene chi sono, lo imparo ogni giorno, io non posso vedere.''

''Io vengo a vedere con i vostri occhi.''

L'abate del monastero si fece avanti.

''Lasciatelo in pace''.

''Egli è solo un mendicante, non può vedere, mendica i vostri occhi.''

''Lasciatelo andare.''

Il vecchio sparì dalla luce incerta delle lanterne e si fece ombra fra i rami urlanti nel vento del vecchio bosco.

Il ventò cessò.

La Luna emerse dalle nubi.

''Chi è costui?''

Gridò la folla.

''Dobbiamo ucciderlo o ci ucciderà tutti.''

''Sciocchi'' li interruppe l'abate, ''voi volete uccidere la morte e vi lamentate che lei uccide voi, volete vedere cosa è la morte e vi lamentate che essa ruba i vostri occhi siate il cielo limpido e il vento e non abbiate paura degli antri oscuri del bosco, la morte è cieca ma non vuole vedere, smettetela di cercare di vedere, così importunate la sua pace e la vostra o essa avrà i vostri occhi.''.