Antenati cannibali
Una prova inconfutabile starebbe a testimoniare che in un lontanissimo passato il cannibalismo doveva essere pratica piuttosto comune nelle prime comunità umane. Uno studio pubblicato nell'ultimo numero della rivista Science
di Claudio Lanzieri
Una prova inconfutabile starebbe a testimoniare che in un lontanissimo passato il cannibalismo doveva essere pratica piuttosto comune nelle prime comunità umane. Uno studio pubblicato nell'ultimo numero della rivista Science dimostra infatti che in buona parte della popolazione presente in quattro continenti è possibile ritrovare l'esistenza di geni in grado di contrastare la diffusione di malattie provocate dai prioni, come ad esempio il famigerato morbo di Creutzfeldt-Jakob (CJD). Tale presenza sarebbe da ricondurre a una risposta di tipo evolutivo attraverso la quale la specie umana si sarebbe difesa dalle conseguenze provocate dal consumo di carne umana.
Fino ad oggi le prove dirette a sostegno di questa ipotesi si limitano al ritrovamento in alcuni siti abitati dai neandertaliani di ossa umane che presentano dei segni evidenti di macellazione. Reperti analoghi sono stati ritrovati anche in comunità formate da primi “uomini moderni” vissuti in Spagna 800.000 anni fa.
Le malattie provocate dai prioni sono malattie degenerative a carico del sistema nervoso centrale e possono colpire indifferentemente sia l'uomo sia gli animali. Si manifestano con disturbi nel comportamento, seguiti in breve tempo da forme gravi di demenza e dalla perdita della capacità di coordinazione dei movimenti, ultimo stadio che precede il coma e la morte della vittima. Nel caso della specie umana esempi di queste malattie sono il già citato morbo di Creutzfeldt-Jakob e il Kuru, un'affezione che colpisce soprattutto le popolazioni indigene della Nuova Guinea. Nel mondo animale, è rientrato solo da poco l'allarme provocato dall'Encefalopatia spongiforme bovina (BSE), meglio nota come sindrome della mucca pazza.
Si ritiene che tali patologie siano causate da forme molecolari imperfette che si accumulano all'interno del tessuto cerebrale. Queste molecole, chiamate proteine prioniche, normalmente risiedono sulla superficie dei neuroni, mentre nel caso delle forme difettose il loro raggruppamento determina la formazione di minuscole cavità nel tessuto cerebrale simile ai fori all'interno di una spugna.
La diffusione di queste malattie nell'uomo avviene soprattutto attraverso il consumo di carni contaminate. Un processo che può essere contrastato se la vittima potenziale possiede, oltre alla forma normale, anche di una versione mutata della proteina prionica, liberata a sua volta da un gene mutato.
Una difesa che secondo le ricerche guidate da Simon Mead, dell'Univesity College London, è molto comune nei Fore, un gruppo indigeno che vive nelle montagne di Papua Nuova Guinea. Presso questo popolo è stata mantenuta per anni la pratica di cibarsi dei defunti. Una tradizione iniziata probabilmente alla fine del XIX secolo e rimasta fino al 1950. In particolare, nel corso delle cerimonie funebri, agli uomini spettavano le carni migliori, mentre alle donne e ai bambini spettava il cervello. Nel periodo compreso tra il 1920 e il 1960 in questa popolazione si diffuse una epidemia di kuru; la malattia provocò circa 200 vittime ogni anno e colpì soprattutto donne e bambini proprio perché a loro spettavano le parti più contaminate dai prioni. Ad ulteriore conferma del pericolo determinato al consumo di carni infette, anche l'aver riscontrato la completa scomparsa della malattia in tutti i membri dei Fore nati dopo il 1950.
Studiando un gruppo di sopravvissute, Mead e i suoi colleghi, hanno potuto dimostrare che in più del 75 per cento di loro è presente una mutazione nel gene che regola la produzione della proteina prionica. In altri termini l'epidemia di kuru ha generato nella popolazione una resistenza genetica alla malattia.
I ricercatori hanno quindi esaminato il DNA di oltre 2000 volontari, scelti in modo da rappresentare in maniera fedele le diversità genetiche riscontrabili tra Africani, Asiatici e Europei. In tutte le popolazioni è stato possibile riscontrare la presenza di mutazioni genetiche in grado di aumentare le difese contro la minaccia di malattie provocate dai prioni.