lunedì 21 settembre 2020

L'Isola dei morti

 Era una tranquilla notte d'agosto.

Il prete era assiso in preghiera nella chiesa silenziosa.

A un certo punto il lampadario prese ad ondeggiare, guardò un attimo verso la finestra, e poi arrivò l'onda del terremoto, tutte le pareti presero a tremare a fremere a vibrare.

Il prete si precipitò fuori per evitare che l'edificio crollasse.

Quando fu fuori vide che la terra fuori dalla chiesa non tremava.

Era solo la chiesa che stava tremando.

Non capì.

Spalancò la porta e guardò il sinistro spettacolo.

Si rese conto che la vibrazione che faceva tremare la chiesa era una melodia, aveva qualcosa di melodico.

Le statue dei santi si creparono, le teste scoppiarono.

Il Cristo appeso alla croce subì la stessa sorte.

Una forza cieca da non si sa quale abisso aveva fatto fremere la parete e staccare il suo capo dalla croce.

Il pavimento si crepò e infine tutte le teste dei santi,della Madonna e di Cristo caddero nel crepaccio.

La chiesa smise di tremare.

Accese i lumi.

E vide lo spettacolo macabro della chiesa intatta e delle statue dei santi della madonna, e di Cristo acefali, senza la testa.

Allora si inginocchiò dinanzi a un dipinto di Cristo, ma ben presto l'acqua cominciò a scrosciare dalle pareti e a cancellare i quadri.

Si sentì smarrito.

Fino a che una luce provenne dall'alto e disse ''non ti farai alcuna immagine di me''.

Il fascio di luce lo illuminò.

E allora vide Dio.

E ne fu sconvolto.

C'era tutta la magnificenza del cosmo, i suoi occhi ondeggiavano come quelli del mare in tempesta, il suo trono era sospeso sul grande lago della morte.

Il prete disse:''Ora che ti ho visto, permettimi di mostrare il tuo volto agli uomini,perché alla vista di una simile bellezza si precipiteranno al tuo altare.''

''Se lo farai morirai.''

Prese gli inchiostri, una tela e si accinse a dipingere quello che aveva visto.

Ma non ci riuscì subito.

Lavorò quaranta giorni e quaranta notti di seguito.

Infine completò l'opera e la assise sopra l'altare maggiore.

Era notte inoltrata.

Il vento dal mare aprì le porte della chiesa.

Ed entrò l'ombra.

Con passo felpato si avvicinò verso di lui.

L'ombra faceva silenzio.

Era una misera ombra.

Gli indicò col dito il mare.

Questa volta tutta l'isola prese a fremere nel terremoto, tranne la chiesa che venne risparmiata.

E il mare fra onde sempre più giganti incominciò a entrare nella chiesa.

Era tutto allagato e l'acqua saliva, o meglio l'isola sprofondava.

Prese il quadro e cercò riparo arrampicandosi sopra la chiesa ma infine tutto fu inghiottito.

L'isola sprofondò, le onde del mare erano giganti, ma quella tela magicamente lo manteneva a galla.

La corrente del mare lo portò semisvenuto su una spiaggia di un altra isola.

Allora guardò l'isola e si rese conto di essere nell'isola dei morti.



I cipressi venivano spazzati dal vento dell'oceano.

Non sapeva se era davanti al paradiso o all'inferno.

Aveva con sé la tela, e non c'era più nulla era lucida come uno specchio.

E si poteva vedere riflesso.

Si avvicinò al lago dell'isola dei morti dove le ninfe senza volto pettinavano i loro capelli.

Fu preso da esse e spogliato.

Si bagnò nelle acque del lago e riemerse.

Guardò verso il cielo e vide le costellazioni e si disse ''io non appartengo a questo mondo.''

Le ninfe senza volto indicarono varie stelle.

I cipressi fremevano al vento sempre più violento che proveniva dall'oceano.

''Il castello di Dio è solo fra una di esse, scegli bene, se hai un cuore puro saprai trovarlo, altrimenti rimarrai fra i cipressi nell'isola dei morti.''

Lui prese la tela e si specchiò.

Infine chiuse gli occhi e vide quelli della donna che aveva amato seppure al di fuori delle leggi del Signore.

Vide i suoi occhi.

E li cercò nel cielo.

Ma non trovò nessuna stella.

Pianse.

Le ninfe senza volto presero ad accarezzarlo.

''Questo lago, è il lago dei morti, sono le lacrime di chi ha creduto di amare ma non ha mai amato.''.

Qui nell'isola dei morti giacciono le anime che non hanno mai amato, che non hanno colto gli occhi della creatura loro affidatogli.

Allora lui si scosse.

E indicò una stella a occhi chiusi, pensando agli occhi di lei.

Riaprì gli occhi e le ninfe senza volto non c'erano più.

Il vento aveva smesso di sferzare i cipressi.

Guardò lo specchio e cosa strana vide la sua amata nello specchio.

Prese lo specchio e lo bagnò e lo immerse nel lago dei morti.

Quando una luce bianca prese a splendere dal fondo del lago.

Ne uscì la falce lunare e lui vi si aggrappò.

La falce lunare si innalzò nel cielo e la terra gli apparve sempre più piccola.

Fino a che non diventò uno dei tanti puntini luminosi nel firmamento.

A quel punto lui si abbandonò e baciò la tela in cui c'era la sua amata.

E furono una cosa sola.

Lei proruppe in un bacio totale di amore infinito.

E anche lui la amò, come se fosse l'unica cosa vera al mondo.

Chiuse gli occhi ed erano entrambi sulla falce lunare mano nella mano.



La falce lunare li aveva portati sul pianeta dove si trovava il castello di Dio.

C'era uno splendido mare quieto, una spiaggia e il sole che sorgeva.

Si presero mano nella mano e si incamminarono verso il castello di Dio.

martedì 15 settembre 2020

Una vecchia

Nuvole lontane

scivolano...

Lampioni gialli...

asfalto.

Piange il cielo

rassegnato al dolore 

di vedere 

milioni di anime

imprigionate

nelle immense 

prigioni di cemento

chiamate città.

Venite a noi ..

sussurrano i prati.

Una foglia gialla d'autunno

si accartoccia

e danza nel vento.

La sua grazia muta

non trova più

 silenziosi applausi

da tristi cuori solitari.

Ci avete abbandonato

ma non conosciamo il rancore.

No...

fermeremo il fuoco

che giunge dai vostri

uccelli di metallo,

pronti a depositare

uova di morte

sulle vostre città.

Una vecchia solitaria

prigioniera tra pareti

di cemento,

 muore sola

fissando tubi al neon,

mostreranno il vostro

errore,

mostreranno il vostro orrore

agli dei del cielo,

della libertà

del vento solitario...

della notte.

Della notte.

sabato 12 settembre 2020

Verrà la vita e avrà i colori dei tuoi occhi

 I tre impiccati penzolavano alla luce della Luna.

Il vento che sembrava provenire dalle stelle, spazzava la piazza deserta e giocava con le torce.

Fu allora che lo strambo pittore, decise di dipingere il quadro, l'aveva battezzato ''La Santa Trinità''.

Si posizionò su una panchina posò la tela e incominciò a dipingere.

''Nei volti degli impiccati'', si disse ''c'è lo strazio di Cristo, il Dio che ha scelto di soffrire come l'uomo.''.

Il pittore era un uomo di fede, e con quel quadro voleva dare una dignità a quei poveri straziati dalla morte conferendogli la dignità divina.

E fu così che si accinse a dipingere.

Le nubi danzavano nel cielo, rincorse dalle abile pennellate del maestro.

E poi venne la volta degli impiccati, lui li dipinse e mano a mano che dipingeva i loro volti si rese conto di una cosa, che da quando aveva preso a dipingerli, i loro occhi si erano aperti e lo fissavano.

''Strano...'' pensò fra sé e sé, e provò ad avvicinarsi agli appesi abbandonando la tela.

Ma a quel punto essi parvero richiuderli.

Li guardò da vicino, gli impiccati ciondolavano sinistramente e non c'era nessuna traccia di vita in loro.

Il pittore si allontanò e riprese a dipingere, e di nuovo li dipinse e i loro occhi erano aperti e lo fissarono.

Il pittore era quasi stizzito, perché non capiva cosa stesse succedendo, se ciò che vedeva era frutto di un'illusione ottica.

E di nuovo abbandonò la tela per avvicinarsi.

E di nuovo trovò i loro occhi chiusi e i loro corpi macabramente appesi alla forca.

Si disse ''E va bene, io disegnerò quello che vedo, lo spirito del Signore mi guiderà nella mia opera''.

Si fece un segno della croce, e pronunciò l'Eterno Riposo'' socchiudendo gli occhi.

''L'eterno riposo

dona loro Signore,

splenda ad essi

la luce perpetua

riposino in pace

Amen''.

Si accinse a guardare i tre impiccati per disegnare i loro volti.

Quando guardò verso le forche rimase di sasso.

I tre impiccati non c'erano più.

Le forche penzolavano vuote.

Guardò la tela e rimase di sasso.

Sulla tela si era miracolosamente dipinta una curiosa immagine.

I tre impiccati salivano una scala  di cristallo che portava verso la Luna.

E la Luna aveva gli occhi con cui gli impiccati lo fissavano.

Il cuore gli prese a palpitare nel petto, e a quel punto non sapeva se credere ai suoi occhi.

Ma la Luna con quegli occhi era inquietante.

Quegli occhi erano morti, privi di vita, come quelli di un cadavere e lo fissavano.

Non gli sembrava opera divina ma diabolica.

Eppure quel quadro era straordinario.

E si era composto da solo.

A quel punto il pittore disse ''reciterò un Padre Nostro, forse mi aiuterà a capire se è opera divina o diabolica.''

''Padre nostro

che sei nei cieli

sia santificato

il tuo nome,

venga il tuo regno

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così

in terra,

dacci oggi

il nostro pane quotidiano

rimetti a noi

i nostri debiti

come noi,

li rimettiamo 

ai nostri debitori

e non ci indurre

in tentazione

ma liberaci dal male.

Amen.''

Allora una colomba d'argento venne dal cielo e si avventò sul quadro rovesciandolo.

Così vide il retro e c'era il suo volto ritratto perfettamente con gli occhi chiusi.

''Che significa questo?'' si chiese fra sé e sé.

In piccolo sul retro del quadro c'era una scritta di un brano evangelico:'' La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso;  ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!''.

''La luce che in me è tenebra?''

''Che significa?''

A quel punto non sapeva più che fare.

Pensò : ''Io devo chiedere aiuto a un padre spirituale, non capisco il senso di tutto questo.''.

E prese con sé la tela.

A quel punto entrò nella chiesa e accese un lume a nostro Signore Gesù Cristo, uno alla Madonna e uno a tutti i Santi della chiesa.

Ma il vento della notte entrò di colpo nella chiesa e li spense.

Spense anche la torcia con cui si faceva luce.

Si ritrovò nel buio più completo.

Il vento aveva richiuso la porta della chiesa dietro di sé.

Era nel buio più completo.

A quel punto notò una cosa, che la Luna del quadro era luminosa.

E faceva una tenue luce.

Tuttavia illuminava a sufficienza la chiesa.

E con quegli occhi spenti di morto.

A quel punto guardò meglio il quadro e vide i tre impiccati che salivano la scala di cristallo che li portava alla Luna.

Anche il cielo del quadro era vivo.

Le nubi si muovevano:quel quadro era vivo!

A quel punto protese le mani verso la Luna perché non poteva sopportare quegli occhi da morto e voleva serrarle le palpebre.

Chiuse le palpebre alla Luna.

A quel punto i tre impiccati si girarono e invertirono il loro moto, scendendo la scalinata di cristallo.

Scesero le scale anch'essi a occhi chiusi e infine tornati a terra posizionarono il loro collo sul cappio.

Girò il quadro istintivamente ma non aveva modo di vederlo essendo la chiesa buia.

Uscì dalla chiesa ma anche fuori la luce della Luna era scomparsa,velata da una nuvola.

Preso dalla disperazione urlò istintivamente:

''Abbà Padre perché mi hai abbandonato?''

E fu solo in quel momento che vide un unico punto luminoso nel cielo Venere, Lucifero la stella del mattino.

E Venere era potente come una lampada verde nel vasto oceano luminoso.

Guardando Venere il pittore chiese ''Chi sei?''

E Venere rispose:

''Sono Lucifero la stella del mattino, chi mi guarda vede la bellezza del cosmo e io apro i suoi occhi perché finalmente possa vedere la luce del sole che sorgerà.''

E il pittore si inginocchiò e di fronte a Venere domandò:

''Ma tu sei Lucifero il demonio?''.

E Venere rispose:

''Io sono la bellezza, la squisita bellezza che va al di là del bene e del male...''

''Il tuo Dio è forse un Dio dei vivi?''

''Che bisogno ha un Dio dei vivi di aspettare che gli esseri muoiano per prendere la loro anima oramai accecata dalla morte?''

''Ma tu sappi o figlio della bellezza, che se tu mi adorerai io ti aprirò gli occhi, finalmente potrai vedere e la luce che è nei tuoi occhi non sarà più tenebra''.

''Che cosa devo fare?'' chiese il pittore.

Lucifero rispose: ''Recita questa preghiera:

''L'eterna bellezza

può essere colta

solo dai vivi,

che il riposo

della tomba

sia il giaciglio

delle ossa

del Dio crocefisso.

Sia

l'eterno riposo

a lui,

e a noi

l'eterna dannazione

della bellezza,

e dei sospiri

che ci separano

da essa.''

Il pittore era in dubbio.

Forse doveva tradire Dio?

Era un Dio dei morti o dei vivi?

C'era un solo modo per scoprirlo.

Recitare la preghiera.

La recitò.

A quel punto gli occhi gli si aprirono.

E capì di avere un immenso potere.

Era lui a disegnare le forme dell'universo.

Le colonne di azzurro dell'alba si ersero come Jachin e Boaz nel tempio del re Salomone.

E a quel punto lui lasciò perdere gli occhi morti della Luna e i tre poveri impiccati.

Prese il pennello e disegnò i colori dell'alba, colorò di rosa i picchi delle vette.

Le nubi grigie le colorò di oro, colorò di verde i prati e li soffuse di una tenue nebbiolina,  disegnò dei raggi d'oro e infine prese la punta del pennello e attinse dall'iride dei suoi occhi per colorare il cielo di azzurro, violetto e rosa.

E infine pianse lacrime d'oro di fronte a un simile spettacolo.

Prese il pennello e lo intinse delle sue lacrime e disegnò il sole che incominciò a splendere e levarsi dall'orizzonte.

Prese la tela per stracciarla.

I tre impiccati erano sempre lì stupidamente morti, la girò e vide che il suo ritratto aveva gli occhi aperti.

E dietro di sé aveva una splendida fanciulla con le fattezze di Venere.

Si girò improvvisamente e la vide identica.

Splendida, i boccoli d'oro rilucevano nel sole dell'alba e cadevano morbidamente sui suoi seni e sulla sua schiena.

Gli sorrise e lo prese per mano e gli disse:

''Ora che sai di essere l'artista dell'universo e che i tuoi occhi dipingono il mondo, vieni con me a godere delle delizie del cielo fra il paradiso degli dei.''

Il vento soffiò nei suoi capelli biondi ed essi formarono una scala dorata verso il sole.

Camminarono insieme verso il sole e raggiunsero il paradiso degli dei immortali.

venerdì 11 settembre 2020

L'ape divina

Sono un insetto,amo i colori la luce.

Ma le luci della città degli dei mi disorientano.

Per questo io ape del sole sono andata nel deserto, alla tenue luce della Luna.

Il vento sfiorava le dune ricamando di sabbia,con le sue dita nere il vestito bianco della notte,il deserto illuminato dal pallido astro.

No, credetemi,le rocce alla luce della luna,divengono fantasmi di bianche derviscie, che danzano al ritmo dell'arpa di Noè,sotto il monte Ararat.

E il serpente giace su una croce enorme inchiodato.

E' lui il simulacro.

Io sono un'ape e non sono abituata alle visioni della notte.

Per cui mi avvicino con circospezione al triangolo del quarto vuoto, Rub Al Khali.

Solo i dervisci osano tanto nei loro sogni.

Ma questo non è un sogno.

Io vedo la spirale, dentro il triangolo.

La spirale della vita e della morte.

Al fondo della spirale c'è un occhio che mi guarda.

Io lancio il mio cuore nel triangolo d'oro e ne escono mille luci che si vanno a posizionare sulla volta del cielo.

Sono le stelle della notte,i miliardi di occhi con cui ti guarda l'unico, lo zero, la stella vuota l'occhio cieco omnivedente.

E io mi sento osservato e ciò non mi piace, entro nel triangolo e vedo la curvatura dello spazio-tempo.

Vedo uno specchio mi ci rifletto, c'è l'immagine di un uomo .

Non sono più un ape ho preso forma umana.

Il deserto di sabbia è diventato simile ad un oceano bianco di latte,le dune mosse dal vento,onde.

Io sono un uomo ma mi ricordo del mio passato di ape e prendo il mio cuore,è un vaso di alabastro,ne verso il contenuto nel mare di latte,il contenuto è dolcissimo miele.

Dal mare di latte emerge una piramide d'oro.

C'è il corpo del faraone nero.

''Vieni'' mi dice, io mi avvicino e vado in punta alla piramide e la tocco.

Diventa nera.

D'ebano, poi si illumina di molti colori e dalla sua punta viene sparato un fascio di luce verso il cielo.

Come un laser taglia la volta nera del cielo e il cielo si apre.

Le stelle cadono nel mare di latte e il cielo diventa azzurro,azzurro come il mare.

Ora la piramide si sbriciola e forma i continenti.

Tutto è ancora informe quando il faraone nero si risveglia, e si alza e getta il suo cuore nel cielo.

Diventa il sole.

Io batto sul mio tamburo e danzo, si alzano con me nella danza della vita gli alberi e le fiere.

Infine mi guardo allo specchio e ho orrore tiro un pugno lo specchio si spacca in mille cristalli.

Ognuno riflette la luce del sole, ognuno è l'anima dell'uomo originario.

E'nata l'umanità.

Ora spezzo il triangolo d'oro, nasce la geometria le città, la tecnologia.

Ora mi lancio nel mare.

Sono nato,guardo le mie mani e il viso di mia madre.

Ho deciso io ape divina sarò un uomo.

Ho deciso che vivrò, ma terrò la coscienza di come sono nato.

Per amore del faraone nero...

e del suo cuore che risplende nel cielo.

Il sole.

 

La casa dei sogni

 La casa dei sogni aveva infinite stanze.

In ognuna abitava un pensiero.

Ma la casa dei sogni non era un luogo di pace.

In particolare i sogni degli dei erano pretenziosi.

Così pretenziosi da affermare che la casa dei sogni aveva un esistenza reale.

Quando in realtà,secondo il portinaio tale concezione risiedeva in un indirizzo.

Via dei matti numero zero.

Già perché se prendi gli dei sul serio rischi di impazzire.

Solo guardando la propria ombra alla luce della Luna si può capire che non si esiste realmente.

Ma solo quando il sole della coscienza illuminata è sorto.

Allora le ombre della Luna scompaiono, e i sogni degli dei si fanno tali e diventano una cosa chiamata uomo.

Imperfetta e strana come solo possono essere i sogni.

Per questo si contraddice e parla 10000 lingue e guarda con un 12 miliardi di occhi.

Perché 12 miliardi è il numero dei significati che puoi attribuire ai sogni degli dei.

Ma io sono risvegliato e guardo al sole e non all'ombra e vedo che la fonte della luce è una sola.

Il sole Aton dice di esserne la voce.

L'oro il corpo.

E gli alberi protendono le mani verso il loro padre sole.

E se ci rifletti non sono fatti d'oro, ma di legno e questo dovrebbe far riflettere.

Riflettere che la realtà è il molteplice sogno degli dei.

E' che l'universo nero è il loro sonno.

Sono le stelle del cielo a sognare il nostro destino.

E se tu vai lontano, nel deserto, lontano dalla casa dei sogni...

Noterai che non proiettano nessuna ombra.

Riflettici.

La casa dei sogni è vuota.

Sei tu a riempirla.

Gli dei dormono.

E tu sei sveglio.

Vivi dunque.

Ama.

Uccidi,

con un sorriso

chi ti sputa addosso

un nome,

un etichetta, 

una sentenza.

Sei libero, ma solo se esci dalla casa dei sogni.

L'essenza del tempo

"Perché il sole sorge solo al mattino?"chiese la sera...

"Perché tu non ne sai cogliere la bellezza."

Rispose il sole.

 

E qual è l' essenza del tempo?

"Insegnare la bellezza delle cose facendole scomparire una ad una"

rispose la malinconia," io amo l'autunno e la rosa che sfiorisce."

 

"Zitta sciocca! "Disse la vita.

"È ovvio che le cose belle non si possono cogliere.

Sono belle e lontane come le stelle.

Amale, ma poi lasciale andare.

Ma guarda in basso, mentre tentavi di cogliere una stella hai calpestato un fiore, vergognati!".

"No "disse il fiore, "non c'è più bisogno che si vergogni.

Se guarda in basso vedrà fiori ma anche rovi.

E sarà sconsolato."

 

"E allora che devo fare?"

Chiesi io.

"Guardare in fronte a te."

Rispose lo specchio.

 

"Ma io vedo solo me stesso."

 

Dissi sconsolato.

 

"E ti pare poco?"

Rispose lo specchio.

"Si"

Dissi io.

 

Decisi di impiccarmi con la corda a un lampione.

 

Ma la corda si spezzò.

E le stelle non c'erano più.

Era nuvoloso e il cielo era nuvoloso.

Piovve.

Piovve anche dai miei occhi.

"Per ogni stella che hai perso piangi una lacrima" dissero il lampione,il cielo e lo specchio.

 

Piansi lacrime fulgenti di un passato che non avevo saputo apprezzare.

E fu solo grazie alle mie lacrime che il fiore rinacque irrorato da un oceano di amore.

 

"Grazie disse".

 

Solo ora puoi guardare ovunque: le tue lacrime hanno redento i tuoi passi improvvidi, e ora guarda tu stesso, la tua desolazione si farà giardino,i tuoi passi leggeri come il tuo respiro, il tuo futuro un lingotto d'oro.

 

Me ne andai poco convinto,ma con un fiore in mano .

lunedì 7 settembre 2020

Il tuo sigillo

Vasti cieli

neri. 

Fiumi scorrono.

Ade.


Il tuo sigillo

non è nei tuoi occhi,

non è nel tuo cuore,

non è nel tuo strazio.


E' nelle mie mani

e io lo lascio cadere


nell'abisso del tuo respiro. 


Non credere ai normali

 

Il vento Bussa alla porte

di chi non chiude

gli occhi,e porta notizie

di sventura e morte.

Ma un urlo muto

mi ha invitato

alla cena degli spiriti.

Le ossa degli antenati

ho mangiato

e ora sono salvo,

se tu credi alla notte

lei non ti tradirà

e la tracotanza

del sole

sarà oscurata

dalla danza della 

polvere nelle strade.

Ha dato vita

alla rabbia degli elementi,

e un turbine di vento

ti salverà,

portandoti lontano

dalla luce del sole

nel nord più profondo:

Il regno di yule.

Domani neve,

pianto delle nuvole;

scala di ghiaccio

che ti porta 

verso il cielo,

verso la patria

dei tuoi sospiri.

Laddove fa così

freddo che le tue

lacrime ghiacciate,

diventano diamante puro.

Inspiri aria gelida,

e un raggio

di sole

attraversa la porta,

della tua anima,

e si fa arcobaleno.

Non nell'orizzonte

né nei tuoi occhi

spenti,

giace il tuo tesoro,

ma dentro il tuo

cuore,

la luce del tuo

sguardo,

si farà prezioso oro.

E non credere

ai presagi

e non credere ai "normali":

solo  il pozzo

della follia,

ti darà l'acqua

per bere lungo

la via.

domenica 6 settembre 2020

Il sigillo della sera

Innamorarsi di una 

stella.

Squisita beatitudine

dell'attimo.


Oro del sole,


amore di un dio


bambino,


Il tuo respiro


vicino.


La tua stella


mai nata.


Si io,


io solo 


l'ho adorata.


A me rivolgo


questa preghiera:


Ascolta il silenzio,


il sigillo


della sera.

Lucia guarda la Luna

Lucia guarda la Luna.

I tenui nembi

le aurore 

che sconvolgono

gli occhi di stupore.

Gli alberi che scintillano

gocce d'oro.

Ci sveglieremo,

con i picchi alteri e austeri

 si illuminano

di rosa

e tentano invano

di chinarsi per vedere

i pomi del giardino

delle esperidi,

illuminati dalla rinascita

della fenice che i nostri occhi,

chiamano volgarmente sole.

Ma non credere Lucia

che vedremo lo stesso spettacolo.

No, Lucia, i nostri occhi

non ci appartengono.

Morti noi saremo

se non potessimo tenerci per mano

e confidarci i segreti

della bellezza dei nostri cuori.

E solo gli angeli,

Solo gli angeli

più nulla non vedono,

accecati dalla luce infinita

del bagliore della stella vuota.