Quel giorno ero arrivato al paese di corsa come al solito e mi ero fermato al bar mentre guardavo il pomeriggio cadere tranquillo fra le case in pietra.
I cipressi erano alti e sembravano finti.
Mentre l'oro si stendeva fra le colline brulle nel tardo meriggio giocavo a chiedermi cosa ci fosse oltre quelle colline brulle.
Le bandierine appese alle corde sospese fra le case ondeggiavano al vento tra le case in stile tibetano involontario.
Avrebbero potuto contenere delle preghiere buddhiste.
In realtà erano lì da una festa di qualche mese fa e nessuno le aveva tolte.
Arrivando di corsa avevo avuto sensazioni diverse.
Per certi versi aveva qualcosa del deserto.
Da lontano le colline verso Volterra avevano un colore davvero giallognolo brullo.
L'Italia è un incrocio fra Europa e Medio Oriente.
La Toscana è una terra di apparenti gaudenti che secondo me hanno dimenticato i primi eremiti che avevano vissuto una vita di vento e silenzio.
Immaginavo cosa dovevano avere provato i primi colonizzatori di questo posto.
Mi chiedevo cosa diamine ci facessi lì.
Se lo saranno chiesti pure loro.
Mentre ero assorto in questa contemplazione il croato passa con un land rover scassato e mi dice ''dottore, mia vita dura, vieni stasera?''
''Oddio diamine me ne ero dimenticato''.
''Mia vita dura'' replica lui.
''Dai corro a casa e vengo dopo che mi sono fatto una doccia.''
''Mia vita molto dura'' ripete.
''Ma come fa uno con mille euro al mese a campare!'' si lamenta.
''Loro aristocratici, mia vita dura!''
''Ok adesso fammi andare vengo stasera''.
Corro di ritorno e mi fermo a mangiare dei fichi maturi e dolci, entro incuriosito in un cimitero e mi ritraggo subito.
Sebbene gli alberi e i cipressi stiano alti a sognare nel cielo l'idea di finire lì sotto mi angoscia non poco.
''Non qui, non adesso''.
Il campanile mi ricorda scandendo le ore che devo muovermi.
Arrivo a casa, bevo quasi disidratato, mi faccio una doccia.
Ho quasi l'impressione di fargli un piacere, non voglio essere scortese, ma me ne starei a casa, sono stanco di uscite fetecchie.
Arrivo al castelletto, la medievale e sontuosa abitazione del tempo che fu, ci ero passato diverse volte e non ci ero mai entrato.
''Sarà vero che qui c'erano i cavalieri templari?''
''Può essere reale quel passato di nobili principi sebbene assurdi per cui la gente moriva?''
''Vedi che comunque qui c'era una certa tensione spirituale, lo percepivo.''
La villa non sembra avere entrate aperte ho già l'impressione di essere venuto per niente.
A un certo punto passo vicino a una porta stretta e lui mi chiama dall'interno.
Stanno preparando da mangiare e mi fa entrare.
Salgo delle scale in legno, vedo la Luna che accarezza l'edera verde sui muri fra le due torrette del balcone che le collega.
La magione templare è antica e nobiliare, si vedono decine di quadri alle pareti, i soffitti alti in legno, le lampade che danno una luce soffusa.
Tutti nobili, tutti morti, i soprammobili in alabastro di Volterra.
Tutto quanto ha le dimensioni di un sogno.
Mi siedo in un seggio in legno in quella che sembra una sorta di antica cappella con la gente seduta sui banchi.
I cantanti e le cantanti si alternano con il maestro pianista che li accompagna.
La gente guarda in silenzio come a una celebrazione liturgica.
La porta in vetro smerigliato verde con intarsiata con intelaiatura a quadri di metallo sottile lascia intravedere un verde giardino.
Lo immagino.
Via via che si fa buio la luce smette di entrare da essa e diventa quella morbida e accogliente delle lampade e delle candele.
I soffitti alti, i quadri, l'enorme camino spento.
Intonano canti lirici in tedesco.
Intuisco una parola e l'altra e penso che in generale la musica e la poesia sono un caleidoscopio con cui con quattro vetri tiri fuori delle splendide illusioni.
Difatti le parole in tedesco grossomodo sono quelle lì,''sonne'' sole, ''abendlicht'' luce del vespro, ''liebe'', amore.
Diamine, sti poeti e musicisti giocano un gioco facile, rispetto alla complessità della vita, loro ti parlano di stelle e tramonti, del sole che splende senza dirti che splende senza un costrutto, che la sua luce è quanto di più divino e al tempo stesso profano esista.
Un dio muto che si contenta della sua gloria, narciso e pavido di vedere cosa la notte abbia in serbo.
Ma al mondo esistono ancora i nobili?
Eccoli qua.
I nobili cercano di prendere esempio da lui, ma sono più simili alle candele che sono accese li sopra quel mobile a baldacchino.
La contessa maestra di canto si gloria del suo coro, ma le candele illuminano poco i ragni nell'ombra sopra, e i quadri sospesi e onirici di uomini dalla fronte distesa e i capelli bianchi.
La gente applaude senza capire un tubo, effettivamente sono bravi, le loro ugole si spingono in ogni direzione.
La cantante magra è timida di una bellezza che solo le ragazze timide sanno ostentare.
Magra e alta dai capelli neri e ricci.
Tutte curate.
La cantante decisamente più in carne occupa lo spazio di tre di loro, sembra uscita da quei cartoni animati degli anni 20 un pò lisergici, con i topolini strambi e la cantante che con la sua voce fa saltare l'empire state building mentre si gonfia a dismisura.
Un tizio scalzo che intuisco essere straniero riprende la scena.
Nessuno per fortuna si osa a riprendere la scena col telefonino, anche i cafoni in mezzo ai nobili capiscono perfettamente ciò che è volgare.
Io mi adeguo e applaudo, chiudo gli occhi e guidato dalla musica mi rilasso.
Mi addormento.
Vengo risvegliato dagli applausi.
Ah diamine siamo qui.
Ci portano al rinfresco e mi sazio senza troppe remore.
La contessa prorompe in un:
''Un grazie al nostro maestro di pianoforte Pacchiarotti.''
Io dico diamine non ci credo dopo trenta nomi austroungarici mi arriva così sbilenco un Pacchiarotti a tradimento.
Trattengo il mezzo sorriso lui si inchina placido e tranquillo.
Anche i nobili nei quadri sopra sembrano deriderlo un pò con la coda della bocca.
''Ma che mondo, ma diamine cambia una lettera del cognome se devi fare carriera, non sembra vero''.
Ma si parliamo col maestro Pacchiarotti.
Il maestro è bonario e goloso si abbuffa delle vivande sopra la tavola.
La pancetta a tradire un temperamento piacevole e gentile di quelle persone che sono buone perché gli piace semplicemente il buono della vita.
Io gli spiego dove siamo perché lui mi dice:
''Siamo stati un pò segregati qui a provare tutta la settimana, una volta ci hanno portati in macchina al paese ma solo per un quarto d'ora.''
Ma che buona la contessa gli ha dato il quarto d'ora d'aria al Pacchiarotti disorientato di fronte ai colli toscani.
''Allora con un mano indico da una parte, qui il nord Pistoia, Lucca, qui sud est Volterra, Siena, qui ovest il mare Livorno.''
L'altra cantante sembra preoccupata che io gli porti via il Pacchiarotti, riorientandolo di modo che fugga.
E a un certo punto datemelo anche un pò a me il Pacchiarotti, anch'io ho il mio diritto a un pezzo del cuore agrodolce del Pacchiarotti.
Gelosa lo rimprovera:
''Maestro vedo che hai già stretto amicizia''.
''Maestro, domani devi essere a cantare a un matrimonio.''
Ahi lui si mette la mano sulla pancia e tace.
''Ma io mi trovo bene qui.''
Prova a protestare.
''Troppo bene qui, facciamo sempre fatica a portarlo via'' mi dice sorridente, e senza fatica lo porta via con lo sguardo basso.
''Il maestro è molto bravo''
Soggiunge, mentre mi guarda come a dire ''non approfittare troppo della sua bravura è solo per noi.''
Ma la contessa che dice?
E' precisa uguale alla contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, stessi vestiti solo più minuta e forse cortese.
Lui le chiede un pò di coca cola.
Inguaribile Pacchiarotti niente champagne e solo coca cola a noi piace quel che ci piace.
Tartine dolci insieme al salato, sancisce lui, ''a me piace così.''
Lei sorride beata di cotanta bonaria richiesta e maternamente invita la servitù ad accontentarlo.
Il croato gli porge la coca cola nel bicchiere.
''Maestro?!'' lo chiama una.
''Maestro!'' un altra.
''Maestro?''
''Maestro?''
Da tutte le parti lo vogliono.
Lui alza il bicchiere della coca cola fa cin cin e col bicchiere alzato:
''Maestro di 'sto cazzo''.
E se ne va dalla stanza portandosi via la bottiglia della coca cola.
''Ineffabile Pacchiarotti''.
Dico io.
''Un uomo come pochi altri''.
La gente applaude senza motivo a Pacchiarotti che non c'è più.
''Una grande uscita di scena!''.
Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace.
La cantante magra che mi dicono essere svizzera mi piace.
Ma io non faccio a tempo a presentarmi che il croato ci prende e con una certa fermezza ci allontana dai nobili.
''Diamine sempre così'' penso.
''I nobili ti fanno entrare guardare e ti sbattono alla porta, devi solo applaudire, non si fa, o meglio si che si fa, a noi si fa, si deve fare, forse non sono buono come il Pacchiarotti, sono cattivo e me lo merito.''
Alla porta al croato gli chiedo una sigaretta di consolazione.
Lui mi dice di giramela io non sono capace e me la gira lui.
La vita è come una sigaretta che non so girare, quando imparerò a girarla forse me la potrò fumare.
Lui me la gira e la fumo.
I cipressi sognano sotto il cielo blu, e se Van Gogh vede cose strane, pace all'anima sua, io qui ho l'impressione solo che sia tutto un sogno.
A volte bello, a volte brutto.
Questa trovata del cognome Pacchiarotti è un segnale del destino che mi dice:''non te la prendere è un sogno bizzarro.''
Fuori il croato mi dice:
''Ora capisci dottore perché mia vita è molto dura.''
Vago per la strada guardando il cielo blu della notte, le cicale che intonano il loro coro.
Sento una voce che pronuncia il mio nome dal cimitero dal cimitero.
''Oddio ho paura i morti mi stanno chiamando.''
''Forse è veramente la mia ora.''
La voce continua a chiamarmi.
Entro aprendo il cancello.
Le tombe bianche si allargano per molto spazio con i lumini elettrici sotto a fare da contrappuntò alle stelle sopra.
''Cosa vogliono dirmi i morti?Saranno fantasmi di templari eremiti?''
Mi avvicino.
Una figura nera nell'ombra è riversa a terra.
''Devo ascoltarli, sapranno consigliarmi.''
Mi avvicino.
''Parla dunque, chiunque tu sia.''
''Vuoi della coca cola?''
''Cosa?''
''Vuoi della coca cola?
''Eh?''
Ma non mi sembra una frase di grande saggezza.
Mi avvicino.
''Oh diamine è il Pacchiarotti''
''Vuoi della coca cola?''
''Ma vai a fare in culo te e la coca cola mi hai fatto prendere un colpo, pensavo fossi un fantasma, sto posto da i brividi di notte.''
''Mi porti via?''
''Dai vieni fantasma Pacchiarotti, ho capito che sei sotto sequestro fuggiamo dalla magione templare.''
Io e il Pacchiarotti ci allontaniamo sorseggiando coca cola in macchina fra le stradine tortuose dei colli.