Sono Solimano, il magnifico, il sultano dell’impero ottomano.
Da molti anni non esco più dal palazzo.
Ho perso il conto dei giorni, degli anni passati qui.
Tutto l’impero e il mondo anzi che dico , l’universo , si preme contro i confini del mio palazzo, senza poterci entrare.
Chi è così sciocco da volerne uscire?
L’erba cresce sulle mura fuori, i gatti sonnecchiano, il sole del meriggio si infrange sulle vetrate policrome affastellate di intarsi geometrici, quando una finestra viene aperta il sole bussa amabile coi suoi raggi sui tappeti, ma le odalische e gli eunuchi giacciono immobili sdraiati sui divani rossi, senza che i raggi se ne abbiano a male nessuno se ne cura.
Il sole è così mio pargolo che la sua luce è si meravigliosa dietro le mie finestre di intarsi ed arabeschi geometrici, ma egli firma suppliche di luce calda del meriggio per potere entrare, ma se entra viene subito domato come sprazzi policromi sui tappeti.
È il servo fedele del mio meriggio immobile.
Fra giacigli di volute di incenso il suo cuore cede e lo porto con dolcezza al sonno della sera.
Sono Solimano il magnifico e non ho più voglia di uscire dal palazzo.
Giaccio sul mio divano solitario, la rossa Roxilana la mia favorita e’ in un altra stanza, la sua.
Viene solo nelle notti di Luna piena animata da una certa vitalità.
In quelle notti l’harem è pervaso da una sottile elettricità che lo rende vivo.
Poi torna sempre stantio.
È strano ma non ricevo legati da paesi stranieri da tempo immemore.
Non so più nulla del mio impero da parecchio tempo.
Devo dire ciò per me è un sollievo.
Vedo i colori degli intarsi di vetro, i tappeti, i libri sacri sul leggio.
Quante stanze ho visto?
Poche.
Anche se qui ce ne sono a migliaia, sto sul mio amplio divano fratello dell’unica finestra aperta di tutto il palazzo.
Quando vengono le odalische scalze a portarmi i datteri e il tè alla menta regalo loro un pezzo del mio cuore.
E chiedo loro:
“Sorelle avete scelto di servire il vostro signore?”
“Si” rispondono loro, “abbiamo solo i nostri cuori e i nostri corpi e le nostri menti e questi ti doniamo”.
“Roxilana” disse il sultano dopo averle sollevato il mento “questa sera questo collo soave sarà mozzato”.
Lei guardò incredula la sua amica.
“Perché mio Signore, in cosa ti ho mancato?”
“Roxilana ricordi quando entrasti qui?”
“Mio signore ne ho perso la memoria.”
“È giusto perdere la memoria di cosa non merita di essere ricordato” disse il Sultano.
“Ma perdere la memoria può anche essere pericoloso”.
“Roxilana ricordi lo strano gingillo d’argento europeo che ti ho donato il momento esatto quando entrasti qui?”
“Ricordi che ora era?”
“Guardalo è ancora al tuo collo”
“È fermo il suo squisito orologio, mio Signore” rispose la concubina.
“Anche la farfalla d’oro entrata qua innumerevoli primavere fa si è posata sul davanzale”.
“Non si è mai più mossa”.
“Non chiede di più è saggia.”
Roxilana era turbata, le lacrime le scendevano dagli occhi, perché una simile violenza?
Perché contro di lei?
Con passo svelto uscì fuori.
Si rinchiuse nella sua stanza e poi col cuore in gola si mise a correre per cercare di scappare.
Correva disperata fra le mille sale il cuore batteva all’impazzata.
Tutti giacevano sdraiati sui divani.
Ora era la Luna a tentare di entrare dalle finestre.
Roxilana corse ore fra le mille stanze, nessuno la ostacolò, nessuno la degnò di uno sguardo.
Roxilana continuava a correre disperata senza raccapezzarsi nell’immenso palazzo.
Si sentiva persa, senza una via d’uscita, senza capire che era il suo perdersi la più grande grazia.
Ma ella era intelligente e ciò la sua disgrazia.
Noto’ gli orologi alle pareti, erano tutti fermi ma ad una diversa ora, via via lei li cercava sempre più vicini all’ora segnata sul suo orologio.
E incominciava sempre di più…a ricordare.
Passata l’ultima stanza, l’orologio fermo a soli due minuti dalla mezzanotte, l’ora in cui era entrata, l’ora in cui uscì.
Roxilana uscì alla luce della luna piena.
Confusa ansimante sudata.
Ora ricordava si…
Non fu piacevole.
Vide le onde del mare in burrasca e le diede fastidio, il vento si agitava senza posa e requie, ebbe un languido rimpianto del suo sultano e del suo palazzo, guardò il suo orologio al collo:
Aveva ricominciato a muoversi.
Era paralizzata di fronte a quel movimento maledetto, la luna e le stelle avevano anche ripreso il loro aspetto e movimento.
Una mano ruvida nell’ombra afferrò l’oggetto scintillante alla luce della luna piena.
Non riuscendo a staccarlo dal suo collo il brigante senza alcuno scrupolo prese la scimitarra e glielo mozzò.
Da dentro il palazzo io Solimano vergo un ordine di cattura per il malvivente.
Ma già mi viene sonno e già ci si penserà domani.
Mi addormento.
Do nei miei sogni una carezza a lei e le indico l’apertura luminosa al centro della cupola sopra di noi.
La farfalla d’oro si innalzò e spari’ al centro.
LA classe non è aceto ma neppure olio .Come può il giovin poeta condire l' insalata ? Miao maragnao dixit ! ? !
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