domenica 29 aprile 2018

La luce nera nel ''roseto del mistero''

Estratto da ''L'uomo di luce nel sufismo iraniano di Henry Corbin.

La luce nera nel ''roseto del mistero''

Il lungo poema persiano intitolato Golshan-e Raz (il roseto del mistero),comprendente circa 1500 distici,è opera di Mahmud Shabestari.
Si tratta di un'opera che ancora oggi non ha cessato di essere letta in Iran,ma la cui estrema concisione ha motivato la composizione di molti commentari.
Tra essi,uno dei più completi e allo stesso tempoil più comunemente praticato in Iran è quello di Shamsoddin Lahiji;la sua ampieza  e il suo ne fanno un'autentica summa del sufismo.
Un tratto riportato nella biografia di Lahiji mostra a qual punto la dottrina dei fotismi colorati,che indica al mistico il suo grado di avanzamento sulla via spirituale,si prolunga nel dettaglio della vita quotidiana.
Egli gli suggerisce infatti di indossare abiti di colori corrisposndenti a quelli delle luci che caratterizzano successivamente il suo stato spirituale,traducendosi dunque in pratica nei simboli di una liturgia spirituale,traducendosi dunque in pratica nei simboli di una liturgia personale identificata al corso stesso della vita.
Qazi Nurollah Shostari ricorda che all'epoca in cui Shah Esmail stabilì il potere nella provincia del Fars (la Perside) e di Shiraz,il sovrano volle rendere visita allo shayk.
Quando lo incontrò gli chiese:''Perchè avete scelto di indossare sempre abiti neri?-A causa del lutto per l'Imam Hosayn,rispose lo shaykh''.
Ma il re osservò:''Si è stabilito che al lutto per il santo Imam vengano dedicati dieci giorni l'anno.-No,rispose lo Shaykh,questo è un errore degli uomini. In realtà il lutto per il santo Imam è un lutto permanente e non cesserà sino all'alba della resurrezione''.
Si può naturalmente percepire in questa risposta una testimonianza del fervore shi'ita per il quale il dramma di Karbala rimane al centro delle meditazioni,così come il dramma della passione di Cristo rimane al centro della pietà cristiana.
Ma nell'atto dell'indossare quell'abito nero si percepisce anche un'altra intenzione,corrispondente all'usanza osservata da alcune fazioni del sufismo di indossare abiti il cui colore sia quello della luce contemplata nella stazione mistica allora raggiunta.
Si stabiliva così un'armonia cromatica tra l'esoterico e l'essoterico,il nascosto e l'apparente.
Alle prime tappe si indossavano abiti di colore blu (kabud);alla tappa suprema,abiti di colore nero sarebbero stati corrispondenti alla ''luce nera''.
E' questo dunque il significato che dobbiamo ritrovare nell'usanza personale di Lahiji,che aveva provocato la sorpresa di Shah Esmail?
Un poema composto da uno dei suoi discepoli in lode del suo shaykh sembrerebbe in effetti confermarlo.
Ad ogni modo, le pagine in cui Lahiji sviluppa il tema della ''luce nera'' in margine al poema di Mahmud Shabestari sono di interesse capitale per accertare l'orientamento tra Notte divina e Tenebra ahrimanniana.
La luce nera è la luce della pura essenza nel suo In-sè,nella sua ascondità;la sua appercezione dipende da uno stato spirituale descritto come ''riassorbimento in Dio''(fana fi'illah),stato in cui Semnani percepirà da parte sua i pericoli di una prova suprema da cui fa risorgere il mistico alla soglia di una visio smaragdina,essendo la luce verde promossa al rango di luce suprema del Mistero.Il confronto è di eccezionale interesse;richiederebbe ampie meditazioni, e qui non può che essre accennato.
Pur seguendo il testo del poeta che egli commenta,il tema sviluppato di Lahiji lascia intravedere le linee precise della sua progressione.
Vi si distinguono tre momenti: uno sforzo per delineare la nozione di luce nera;poi per descrivere la sovracoscienza che essa postula, una non-conoscenza che è, in quanto tale conoscenza;
infine la ''Notte luminosa'' viene identificata allo stato di povertà mistica nel suo senso vero,quello che vale al mistico la qualifica di ''povero spirituale'' (darwish,derviscio).
Delineare la nozione di luce nera è tanto più difficile in quanto essa irrompe in due modi.
Irrompe in presenza delle cose;è una certa maniera di vederle,che fornisce all'autore il tema del Volto nero degli esseri (siyah-ru i).E irrompe anche in assenza delle cose,quando l'intelligenza,distaccandosi dal Manifestato,tenta di comprendere Chi si manifesta e si rivela.
E' il tema della pura essenza,dell'ipseità divina come soggetto assoluto,la cui inaccessibilità viene suggerita dall'autore parlando di prossimità eccessiva e di abbagliamento.(...)
Ecco il racconto di una visione dello shaykh Lahiji.''Mi vedevo,presente nel mondo della luce.Montagne e deserti erano resi iridescenti da tutti i colori delle luci,rosso,giallo,bianco,blu.
Provavo per essi una nostalgia divorante;ero come colpito da follia e rapito fuori di me dalla violenza dell'emozione intima e della presenza che avvertivo.All'improvviso vidi che la luce nera invadeva l'intero universo.Cielo e terra e tutto ciò che esisteva in loro era divenuto luce nera, ed ecco che in questa luce io mi riassorbi totalmente perdendo coscienza.Poi ritornai a me''.
Il racconto di questa visione suggerisce un accostamento immediato con una delle grandi confessioni estatiche di Mir Damad: vi è qualcosa in comune tra la visione della luce nera che invade l'universo e la percezione in Mir Damad del ''grande clamore occulto degli esseri'',il ''silenzioso clamore'' del loro sconforto metafisico.
La luce nera rivela il segreto stesso dell'essere,che può essere soltanto come fatto-essere;tutti gli esseri hanno un doppio volto,un volto di luce e un volto nero.
Il volto luminoso,volto del giorno,il solo che viene percepito,senza comprenderlo,dall'uomo comune è l'evidenza apparente del loro atto di esistere.
Il loro volto nero,percepito dal mistico,è la loro povertà:essi non hanno di che essere,sono incapaci di essere sufficienti a sè stessi per essere ciò che devono essere (nota di FlatEric si noti come questa dottrina combaci con quella dell'anatman- vacuità de Buddhismo).
La totalità del loro essere è il loro volto di giorno e il loro volto di notte.
Questo è il senso mistico del versetto coranico:
''Ogni cosa perisce,a eccezione del suo volto'',vale a dire a eccezione del volto di luce di quella cosa.
L'irruzione visionaria di questa duplice dimensione,positiva e negativa,è la visione della luce nera.
(....)
Sin dalla prima origine del pleroma,sin dall'istante eterno della nascita della prima delle intelligenze,il primo dei Kerubim,l'Angelo Logos,si manifesta la doppia dimensione di ogni essere esistenzializzato:il suo volto di luce e il suo ''volto nero''.(...)

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