è la misteriosa femmina.
La grande porta della misteriosa femmina
viene chiamata la radice del paradiso e della terra.
Appena visibile, appare come se fosse lì,
eppure il suo utilizzo non la esaurirà mai.
Nella riflessione sul problema metabolico ci si concentra sempre sul sovraccarico calorico.
È un interpretazione, un interpretazione che può risultare fuorviante.
Non necessariamente si osserva in soggetti affetti da sindrome metabolica un sovraccarico calorico.
Ma non si riflette sul significato evolutivo, per questo si va a vuoto nella gestione del problema metabolico.
Non necessariamente ci siamo evoluti in un ambiente con meno disponibilità calorica, ma una cosa è certa, difficilmente ci siamo evoluti in un ambiente con questa omogeneità di distribuzione di calorie, di pasti, e di temperatura.
L’organismo umano è stato strutturato per resistere ad oscillazioni estreme sia a livello calorico di periodi di digiuno prolungato altervallati a periodi di sovralimentazione, per una ragione molto semplice, in quanto predatori dovevano sopportare grossi periodi di digiuno a cui facevano seguito una volta catturata la preda una sovralimentazione che rischiava di uccidere più del periodo di digiuno in sé.
Ciò che i campi di concentramento hanno insegnato alla storia anche della medicina e che chi non muore di fame muore della conseguenza della fame una volta avuto a disposizione il cibo:
La cosiddetta refeeding syndrome.
Dovendo gestire questa disomogeneità violenta di distribuzione di risorse caloriche ma anche di spesa calorica in funzione della temperatura esterna (oscillazione termica estate inverno giorno notte) il corpo ha determinato degli adattamenti.
Il fatto stesso che il tumore si presenti con maggiore frequenza presso i carnivori rispetto agli erbivori suggerisce la sua genesi evolutiva come adattamento a sopravvivere alla “refeeding syndrome” non tanto come superiorità dell’alimento vegetale in sé rispetto alla carne, affermazione non valida ne’scientifica, ma come erraticita’ nella distribuzione calorica del tempo tipica degli animali carnivori.
L’erbivoro bruca e rumina, è in una sorta di glucosata in infusione continua, per il suo organismo mantenere lo steady state è molto più semplice.
Più complesso per il carnivoro che la preda la deve cacciare, il suo organismo deve sopravvivere non tanto al digiuno ma alla violenta e repentina oscillazione metabolica che subentra una volta catturata e divorata la preda, in natura non esistono frigoriferi e conservanti.
A dirla tutta si esistono anche in natura, perché a seconda degli ambienti in cui ci si è evoluti si hanno oscillazioni termiche più o meno cospicue.
Se la Balena è l’animale che sviluppa meno tumori ciò è dovuto alla natura omogenea della sua alimentazione e dell’ambiente termico in cui vive ( l’acqua garantisce una temperatura più uniforme rispetto agli animali terrestri.)
Se dovessimo definire l’alimentazione della balena essa carica una costante di plancton nel tempo, se è vero che la dimensione maggiore dell’animale favorisce un metabolismo basale più contenuto rispetto ad animali a piccola taglia ( rapporto superficie - volume) è anche vero che la parte non analizzata in cui risiede la sua maggiore salute metabolica risiede nell’uniformità di accesso alle risorse caloriche ovvero la continuità dell’assunzione di prede di taglio piccolissimo ( il plancton)rispetto al volume della balena.
Il punto è che però non bisogna cadere negli equivoci, non esiste un meglio o un peggio, esistono strategie di sopravvivenza evolutive.
L’essere umano non è né un erbivoro ne un animale marino, si è evoluto in condizioni sia di forte erraticita’ di accesso alle risorse caloriche e idriche, sia di forte erraticita’ di oscillazione termica, ergo è questa “ balenizzazione” che sta mettendo in crisi l’essere umano calato nella civiltà, non tanto la sovrabbondanza calorica in sé ma la sua continuità nel tempo, non tanto il caldo o il freddo in sé, ma l’esistenza in spazi a temperatura continua gestita in modo artificiale.
Non esistono giusti mezzi in natura, o meglio, talvolta esistono, la questione è sempre come ci si è adattati.
Analizziamo il rapporto fra emocromatosi e continuità termica e la vicinanza fra sindrome metabolica.
Ci si chiede perché nella sindrome metabolica la ferritina incrementi.
La risposta giusta NON è l’infiammazione.
Cancelliamo questo concetto non scientifico dai nostri radar se vogliamo comprendere il problema.
Il punto è che in Europa sussistono 2 mutazioni che portano l’organismo a trattenere più ferro e si trovano tutte e due in un gradiente ovest est.
La prima mutazione C282Y è la mutazione cosiddetta celtica, si trova principalmente in Irlanda e nelle isole britanniche e si trova in Europa con un gradiente nord- ovest.
Sono i celti originari delle isole britanniche.
La seconda mutazione H63D ha sempre un gradiente ovest-est ed ha come territorio di maggiore diffusione la Spagna.
Può anch’essa essere ricondotta ad una popolazione celtica.
Ricordiamoci che malgrado la Spagna sia classificata come paese mediterraneo le popolazioni che la abitano non hanno tanto in origine mediterranea quanta celtica.
I cosiddetti celtiberi come li classificavano i romani.
Tendenzialmente il gradiente del ferro non è nord-sud ma ovest est.
L’Atlantico inteso come stabilizzatore termico ha portato le popolazione dell’Europa occidentale sia del nord che del sud ( i cosiddetti celti) ha immagazzinare mediamente più ferro di quanto ne immagazzinano le popolazioni a oriente, sia a nord che a sud.
Non è un gradiente di temperatura, ma di oscillazione di temperatura.
Questa cosa va capita.
L’accumulo di ferro è la risposta adattativa alla stabilità, sia di temperatura esterna, sia di calorie introdotte.
L’ossessione per una dietistica in cui viene ricercato “ il cibo corretto e sano” porta a trascurare l’importanza fondamentale dell’ erraticita’ nella distribuzione calorica nel tempo.
I musulmani hanno costruito le loro abitudini secondo delle norme di igiene calorica che vanno comprese appieno dal mondo industrializzato.
L’abitudine ad una sorta di digiuno intermittente ( il cosiddetto Ramadan) l’esclusione del suino e dell’alcool sono pratiche igieniche che delle popolazioni nomadi a forte erraticita’ calorica, idrica e di escursione termica che hanno dovuto darsi nel momento in cui si sono civilizzati e organizzati in strutture non nomadi con continuità calorica di assunzione e termica di vicinanza al mare che eliminava l’escursione termica.
La civiltà normalizza.
Taglia gli estremi della curva della gaussiana e distribuisce uniformemente le risorse nel tempo, avendo a disposizione qualche milione di anni di evoluzione l’essere umano avrà meno problemi metabolici e tumorali come la balena, attualmente sta patendo e ne ha di più.
E l’uniformità del mondo moderno che lo uccide.
Da un pò di tempo va avanti questa solfa, maneskin si, maneskin no.
Musk si, musk no.
La risposta è no.
Questi fenomeni sono sono target di frustrazione.
Prendiamo i maneskin.
Molti puristi li snobbano perché sono inconsistenti.
Già.
La domanda che faccio a costoro è:
Ma perché non ve ne siete mai accorti dai tempi di Beatles e Rolling Stones?
I Beatles I Rolling Stones, sono fenomeni definibili come target di frustrazione.
Ora ci sono sicuramente dei ''meriti musicali'' (molto esigui a dir la verità) per cui costoro hanno ''sfondato'', ma il punto è che questa isteria di massa nei loro confronti è una novità.
Gli stessi ''protagonisti'' del fenomeno, John Lennon per esempio hanno raccontato di aver dovuto interrompere le esibizioni perché le urla del pubblico impedivano loro di suonare i loro strumenti.
Il pubblico non è interessato alla loro musica.
Il pubblico è in uno stato psicologicamente ributtante di immedesimazione con il ''vincente-protagonista''.
E in uno stato ancora più ributtante di ''frustrazione accettazione''.
Il fatto che 4 ragazzi normalissimi vengano presi e portati nell'empireo deve fare riflettere, e il loro essere normali a entusiasmare le masse.
La maggior parte di noi ha vite che rasentano il suicidio.
Negli anni 60 il mondo si è svegliato a questa nuova concezione ''vincente- perdente'' anglosassone che ha scompaginato le carte.
I più grandi perdenti di tutti sono i giovani, i più frustrati sono loro, o noi (non saprei se definirmi giovane).
A loro non viene concesso nulla, devono guadagnarsi le loro posizioni sociali in un estenuante ascesa in ginocchio che ha dei tratti masochistici- ascetici.
Partono i movimenti di ''contestazione''.
E' anche comprensibile.
Ma il sistema gioca la sua carta:
''Il vincente ebete che a vent'anni tocca il cielo con un dito ed è un ragazzo come te.''
Ora.
Io sono drastico e pecco in questo senso.
Non è che si possa democraticamente mettere sullo stesso piano chiunque abbia calcato un palco, non è che la musica leggera vada presa e gettata nel dimenticatoio delle cose brutte perché Uto Ughi ha detto qualcosa, o qualcuno più impostato pretende che un genere sia meglio di un altro.
Non è la musica il punto di questo discorso.
Sicuramente tante persone hanno in questo modo liberato un talento e una creatività immensa.
Il punto è ''il fan''.
Che cos'è questa creazione moderna aberrante?
E' una creazione moderna aberrante.
Se sei un fan sei nella stessa condizione di un credente, di un rinunciante, ma messo ancora peggio.
A un cristiano o a un musulmano viene promesso che se rinuncerà al mondo avrà il paradiso.
A un buddhista il nirvana.
A uno di questi fan sbavanti cosa viene promesso?
Nulla.
Loro rinunciano a se stessi.
Ai loro impulsi.
Alle loro ambizioni.
E cosa gli promette la società'?
Che c'è una sorta di lotteria del paradiso in cui uno a caso viene preso buttato sul palco e tutti urlano all'emozione sconcertante del ''è successo, può succedere a chiunque''.
Questa cosa danneggia molto.
Le persone così smettono di essere persone e rinunciano alla loro individualità.
Rinunciano a tutto e diventano dei gusci vuoti.
Vivono una sorta di inferno, in cui hanno perso la loro anima.
Nel mondo moderno tutti i dannati hanno in mano questo biglietto del paradiso, ma parliamoci chiaro, nessuno crede realmente di poter vincere.
I più entusiastici fan di qualcuno sono anche i più frustrati.
La logica del mondo ribalta questa teoria vendendo l'assioma che il successo porta invidia.
E' vero.
Ma nel momento stesso in cui proferisci la tua estraneità alla maggior parte delle prurigini nei confronti delle quali la presunta modernità ci scaglierebbe viene giocata questa carta della presunta-reale invidia per tapparti la bocca.
Prendiamo l'elon muschio.
E' un formidabile target di frustrazione.
Milioni di persone devono attendere alla loro vita di ufficio, alle loro incombenze alla loro routine.
Sono alienati e frustrati.
Siamo (ho l'onestà di dire che anch'io non mi ci trovo bene).
Ma il punto è:
Arrivano i superebeti che ti portano il carro elettrico dell'elon muschio in trionfo.
Il meccanismo di fondo è quello demente del tifoso, del fan.
Ricordo una frase orribile che ho letto sul muro di uno stadio:
''Fieri di loro''.
In un mondo in cui l'orgoglio sembra abbondare ma langue prepotentemente è pieno di gente fiera di qualcun altro, che magari non ha neanche conosciuto, che non è suo parente o amico.
Che magari non esiste nemmeno.
Che è un ruolo di un attore in un film e non una persona reale.
E urlano.
Allo stadio, in concerto, i peggiori, nel web.
Non gliene frega un cazzo della musica o dello sport o della tecnologia.
Urlano per tutta la sofferenza che tengono dentro.
Ma sono degli ebeti.
Parla per Dio, la lingua è fatta per parlare, non per gridare non si capisce cosa.
Alla fine i giovani vengono messi a dura prova.
Non gli viene chiesto nulla, ma gli viene dato ancora meno.
La mascherina se la devono mettere per non contagiare i nonni, ma i nonni in parlamento la loro vita se la sono fatta senza mascherine.
Devono piegarsi come soldati giapponesi agli americani vincitori.
Devono chinarsi silenziosi con una rassegnazione asiatica disumana di fronte a un qualche sbruffone che gli fuma il sigaro in faccia, tipo appunto i soldati giapponesi quando i generali americani entrarono nell'isola e Hirohito ha firmato la resa.
Manca ai giovani italiani quella sfacciataggine odiosa dei loro nonni, che anziché inchinarsi a vincitori d'oltreoceano silenziosi, si sono ubriacati con il vincente sul loro carro.
Unica contestazione permessa al generale americano vincitore:
Il clima.
Della serie piove governo ladro.
Come se dopo una sconfitta così imponente il problema siano 2 gradi in più d'estate.
Li mandi a cagare senza neanche passare dal via.
Sono ributtanti nell'accettare tutto il resto.
Greta urla che le hanno rubato il futuro per qualche grado in più.
E' implicito che chi lavora in una fabbrica il futuro non gliel'hanno rubato.
E così arriva il wizard della situazione e risponde con una non-soluzione a un non-problema.
L'auto elettrica.
E si entusiasmano.
Mica per un motore elettrico del c. ma perché un ebete è arrivato all'empireo.
E urlano.
E fanno i fan.
E si arrabbiano se qualcuno non sta chino.
E rinunciano a se stessi in cambio di niente.
E si arrabbiano con te se glielo fai notare.
Se conservi il tuo orgoglio e dici: ma cosa c'è in tutto ciò di buono?
Stesso fenomeno stessa spazzatura.
La stampa li monta a quel modo anche per creare un senso ulteriore di frustrazione e di impotenza.
Ma non sussiste.
Non sussiste.
Il presunto mondo del futuro fatto di credito sociale cinese auto elettriche e grilli nel piatto è semplicemente una proiezione angosciante del presente.
Arrivano i ''tecnoribelli'' quelli che protestano contro il monopattino, i grilli nel piatto, il credito sociale cinese, il futuro orribile.
Che non ci sarà mai.
Anche questa tecnica di spostare le proteste verso un presunto futuro orribile è subdola.
L'agenda di Davos avrebbe come scopo quello di metterci i grilli nel piatto.
Menomale che c'è fusaro che ci difende.
Fanno i crediti CO2.
Si oddio ci provano.
Ma sono quelle stesse forze stregonesche che sono state evocate dal capitalismo che non si prestano ai crediti del CO2.
La tecnica del protestare contro un presunto futuro orribile è davvero subdola:
''Chi protesta per evitare un presunto futuro, contesta qualcosa del presente, o il presente per lui è una categoria dei ''boomers''?
Vive nel presente?
Si cala nei problemi del presente?
E' un benaltrismo futurinista.
Cosa sono i problemi di oggi di fronte al disastro climatico di domani?
Poi arriva l'antigretino che è ancora più gretino.
Lotta contro il World Economic Forum che nel 2035 ci vuole tutti che non mangiamo carne se non di grillo, col monopattino nel sedere, chini e riverenti a Elon musk come nei confronti di Jabba di Star Wars.
Lotta sostanzialmente contro niente e più che un film.
E' come appunto protestare contro Darth Vater.
O contro il padrino.
O contro Arnold Schwarzeneger che fa terminator.
L'intelligenza artificiale che ci stermina.
Come in terminator.
Vivono in una bolla di irrealtà.
Questa cosa di non sapere più distinguere tra film e libri e la realtà sta contagiando molti.
Persino Matteo Messina denaro si mette in casa i poster del padrino di Hollywood.
Il fenomeno è grave.
In teoria doveva essere il film a prendere spunto dal boss, è diventato all'incontrario.
Anche lui che teoricamente è il capo dei capi vive in una bolla di immagini artefatte.
Target di frustrazione e basta.
Anche matteo Messina denaro era frustrato.
La dico tutta, proprio così capo non sembra, sembra un adolescente wanna-be gangsta.
Non voglio iniziare teorie del complotto ma un capo vero non ha nient'altro che se per comandare.
Verrebbe quasi da sospettare che rientri nello stesso fenomeno:
''se c'è l'ha fatta lui a diventare boss puoi farcela anche tu.''
Spoiler il poster del padrino.
Proteste contro il nulla.
Fan del niente.
E' venuto il momento di gettare le cazzate, i poster, i manga. le seghe, le bave adolescenziali e unirsi.
Incomiciando dal fare due chiacchiere nel mondo reale.
Noto una certa incapacità del giornalismo sia mainstream sia alternativo a leggere la realtà.
Ora è praticamente più di un anno che i tassi salgono ma l’inflazione non è stata calmierata.
Per una ragione molto semplice, ci si attende che di qui a poco le banche centrali invertano la rotta e tornino a pompare liquidità.
Diciamo pure che da soli i tassi d’interesse non sono sufficienti a invertire la rotta.
Bisogna prendere un agnello sacrificale e spaventare un po’ gli investitori senza panico l’inflazione non si ridimensiona.
Lehman è stato l’agnello sacrificale della crisi precedente.
Un pezzo da novanta.
Il problema è che nessuno si è spaventato con il fallimento di questa banchetta.
Anche perchè diciamola tutta che problemi potrebbe e dovrebbe innescare il fallimento di questa banca provinciale?
Nessuno.
Il messaggio che le banche centrali cercano di comunicare ai mercati è elementare:
“Disinvestite dalla bolla tech”
Fuggite dai vari Google Apple Facebook Tesla ecc…
Ma il messaggio è talmente telefonato e scialbo e anche il tentativo di “diffondere panico” è così “cauto” che verosimilmente questo presunto contagio imminente non contagerà nessuno.
Innanzitutto se la banca in questione è nella costa ovest ed è lontana dal gotha finanziario di New York non c’è ragione di preoccuparsi.
In secondo luogo i mercati che hanno orecchie molto aperte non hanno per nulla reagito con paura a questo fallimento.
Non c’è corsa a beni rifugio, l’indice Dow ha ceduto se va bene un 1% nessuno è realmente spaventato e ci mancherebbe.
Voglio dire coi precedenti della Lehman e della Grecia i mercati hanno ballato perché l’esito di risoluzione non era scontato e oltretutto i banchieri centrali non erano ancora così interventisti.
Adesso con i whatever it takes hanno calato le braghe.
Fanno whatever it takes per ogni starnuto del mercato.
Ed è per quello che si è creata l’inflazione.
Ma non sarà questa scempiaggine a modificare l’attitudine dei mercati a sentirsi coccolati dalle banche centrali.
È necessario un agnello sacrificale più grosso è più vicino alla Mecca finanziaria.
La cosa tragicomica è il come tutti corrono dietro a questa notizia.
Di quale timore di contagio si parla?
È una speranza.
Speranza che sarà disattesa.
Faccio fatica a comprendere sia i giornali tradizionali sia la stampa alternativa.
Di cosa stiamo parlando?
Contagio?
Di che?
Timore?
No speranza, un po’ di panico è l’unica cosa che sgonfia le bolle.
Speranza che si diffonda il panico.
Stupisce la narrazione acritica.
E allora?
E alllora niente.
C’era un uomo che vagava nei deserti.
Il cielo era la sua coperta, e la luce accecante del sole il vestito sulla sua pelle.
Neri i suoi occhi.
Il pozzo del cielo aveva per ogni stella un sorso del suo sguardo.
Egli parlò alle pietre e le pietre gli risposero:
“Necessitate forse di azioni, per esistere, voi?”
Ascoltò.
E si addormentò cullato dalla loro dolcezza.
“Signori delle tombe e angeli, ogni pietra ebbe una coscienza e quella coscienza è l’acqua che le ha lisciate, il vento che le ha fatte franare, e per i granelli di sabbia il tuo stesso piede sotto cui sprofondano.”
“Non senti il profumo della terra?”
Si lasciò sprofondare e scivolo giù dalla duna.
Ma chi?
Il suo cuore ora si era davvero pietra e fratello delle stelle.
Il suo petto era una galleria sotterranea delle sue viscere e l’anima era uscita fuori di lui a lavarsi i vestiti nel catino della notte.
Dormiva profondo simile a pietra.
Un filo d’erba nacque dalla pietra, e un papavero rosso sulla cima della duna.
“Li devo cogliere o no?”si domandava mentre dormiva, e tutto l’universo era la sua domanda.
Il sonno era meravigliosamente dolce ma egli si impose di destarsi per andarli a cogliere, quando salì sulla duna non li trovo’.
Ebbe fame e vago’ fino alle tende.
Il riso bollente fece ribollire le sue viscere.
Dormi di nuovo e vide il cielo, c’erano tante stelle e una rossa a sud.
Il sonno era così dolce ed egli non si destò.
Mori’ quella notte.
Nessuno scrisse nulla, ma chi passa in quella vallata conosce il significato.
Aldebarain ha cominciato a brillare rossa da allora nel cielo e un papavero rosso spunta per davvero sulla duna da allora tutte le sere, e tu finalmente puoi coglierlo.
Ho fatto la mia corsa senza troppo riguardo per la mia stanchezza.
La cosa strana che noto a questo giro è che non ho nessun male alle gambe ho invece un dolore snervante alle braccia.
Somiglia molto al dolore che si ha quando si ha l’influenza, quindi si credo sia di natura infiammatoria.
Ora io non so se senza notarlo ho mosso di più le braccia.
Le braccia le si muovono eccome in una corsa.
Difatti non credo neanche siano poco allenate per quel carico di lavoro.
Il punto è che trovo strano che questo dolore simil influenzale colpisca loro e non le gambe che hanno patito il carico da novanta.
Ora, credo sia opportuno abbozzare qualche riflessione istintiva ma neanche troppo.
E allora arriviamo al punto fondamentale di tutto.
L’economia delle risorse.
Glucidiche protidiche lipidiche.
Io insisto sul fatto che noi siamo più predatori carnivori piuttosto che raccoglitori o agricoltori.
La questione è questa in codesto processo definito infiammazione c’è una ridislocazione.
Il mio organismo si è posto in una condizione di ipoglicemia è stato secreto cortisolo che ha determinato le sue azioni consuete.
Proteolisi, l’adrenalina non bastava più e bisognava attaccare anche i muscoli.
Ovviamente non andavano attaccati i muscoli sottoposti al carico di lavoro.
Il punto è sostanzialmente quello.
La redistribuzione ha un ruolo preminente quando le risorse sono limitate.
Quindi l’organismo mette in circolo cortisolo durante le fasi più intense e si sa arrivati a quel punto le difese immunitarie crollano.
Ma del resto in una situazione del genere la destinazione delle proteine alla sintesi degli anticorpi può benissimo aspettare.
Aspettare cosa?
Aspettare che la preda sia catturata, tendenzialmente in natura nessuno corre per divertimento si corre per acchiappare le prede.
Vai a casa e termini la simulazione della corsa dietro la preda.
Ti concedi la preda da dentro il frigorifero cucini, mangi la tua bistecca, ti corichi le braccia fanno male.
Quanto alle gambe, non dico siano al top ma non sono un particolare problema.
Le braccia invece fanno male.
Sta cosa mi lascia perplesso ma mi fa riflettere.
Allora si ridefinisce il punto dell’infiammazione non è tanto che c’è un danno locale che poi infiamma il resto dell’organismo.
Il punto è che il danno locale se reiterato in quella zona definisce una necessità metabolica superiore oltre che anabolica in quell’organo, muscolo, sottoposto a un carico superiore rispetto agli altri.
Il punto da comprendere è che l’organismo fa le sue scelte proprio perché le risorse non sono infinite e vanno indirizzate con criterio di priorità se necessario sottraendole a tutto ciò che è sottoutilizzato a utilizzato di meno.
Si sa che dopo una maratona ci si trova in uno stato “infiammato” incrementa l’interleuchina 6 e così via.
Ma anche il cortisolo per un po’ di giorni non si normalizza dopo una maratona.
Coesistono a dirla tutta ormoni e citochine proinfiammatorie insieme ad ormoni e citochine antinfiammatorie più espresse.
E che vuol dire?
Vuol dire che il carico è stato così notevole da necessitare una redistribuzione di proteine e glucidi.
Il sistema immunitario per un po’ di giorni se ne deve fare una ragione, gli anticorpi non saranno più una priorità per un po’ di giorni.
Devi riformare dei muscoli semidistrutti, gli amminoacidi vanno lì come priorità.
Eppure l’organismo è infiammato.
Il punto è cosa serve dove?
Quindi il punto è chi è sensibile all’infiammazione?
Ammesso che sia ancora corretto chiamarla “infiammazione”.
Ovvero chi è che deve essere catabolizzato.
Deve essere catabolizzato o comunque non ricevere risorse anaboliche chi paradossalmente il danno non l’ha subito.
Il cortisolo mi sembra stia agendo sulle mie braccia e non sulle mie gambe.
Quindi ammesso che si debba parlare di infiammazione l’organo sede di danno è meno responsivo a quegli ormoni e citochine o proteine definite antinfiammatorie.
E gli altri si beccano gli effetti catabolici.
Difatti si dopo una maratona la ferritina incrementa, ma dove?
Incrementa dove ci sono stati i danni anche per permettere di concentrare il ferro lì e non altrove.
Chiaro che se hai spaccato un sacco di globuli rossi la ferritina scende perchè ci devi risentizzare l’emoglobina.
Ma questo in cronico, non in acuto.
Ora si sa che infiammazione e tumore sono parenti stretti.
Io continuo a essere scettico su questo termine infiammazione, che mi pare poco scientifico, sembra quasi un masochismo gratuito dell’organismo, non mi pare che messo in quel modo abbia molto senso.
Certo che se tu danneggi un tessuto produci degli effetti metabolici sistemici e locali.
Uso il termine metabolici, perché il termine infiammazione ripeto è poco pertinente e a dirla tutta nasconde in modo imbarazzante la convivenza di iperpressione di citochine proinfiammatorie con citochine antinfiammatorie.
E non è questione di bilancia in senso assoluto tra questi mediatori, i mediatori coesistono perché hanno effetti su tessuti differenti.
A livello del tessuto danneggiato anabolizzi a livello di tutto il resto catabolizzi.
Prendi il TNF alfa che verrebbe prodotto dall’organismo per contrastare quel tumore.
Ma chi contrasta chi?
L’organismo sa quello che fa anche se può decidere di farlo con un livello di violenza che lo danneggia.
Al tumore che è visto come zona danneggiata che non si riesce a riparare servono zuccheri e proteine?
Si secerne TNF alfa e si catabolizzano in modo violento gli altri tessuti per dare quelle risorse al tessuto danneggiato.
Che per inciso non è neanche il tumore, il tumore è un tentativo di ripararlo.
Quando decisi di partire per cercare vita nell’universo non mi aspettavo di certo che fosse semplice.
Sapevo che ero un Cristoforo Colombo, sapevo che i cialtroni che si riempivano la bocca di belle parole e di colonizzazione dello spazio da salotto televisivo non sarebbero partiti.
Io invece partii.
Anche un po’ tronfio della mia ostinazione.
L’epoca in cui vivevo ci aveva donato qualcosa di simile all’immortalità ma in pochi pensavano di sprecarla così.
Io emulo di Amundsen, Scott, e qualche altro assiderato o annegato in qualche distesa infinita non avevo ponderato ciò con cui mi sarei confrontato.
La terra è un pianeta irritante, una sfera blu tanto magica quanto capziosa buttata lì come un’opera d’arte , una sinfonia di quelle che non capisci se sono note prese a caso o se c’è del metodo in queste note, perché a volte risulta bello, ma per rari momenti a cui seguono interminabili ripetizioni di fraseggi rumorosi, inconsistenti e molesti.
Da dimenticare, insomma.
Ho provato a dimenticarla, ma non ci sono riuscito.
Partivo con la prua, non verso l’ignoto, ma verso la morte, il nero, una tomba di 14 miliardi di anni, un sarcofago sigillato con strane geroglifici di costellazioni sulle pareti di questo mausoleo.
Non capivo neanche io bene perché, ma era l’insofferenza verso questa mania ad avere paura e fermarsi al palo dell’esistenza a imitare i cani che abbaiano da dietro le sbarre del cancello del loro cortile, prigionieri di regole stupide che abbaiano spaventati a questa pantera nera sinuosa che si muoveva oltre le sbarre del pianeta: il nulla, il vuoto cosmico totale, il cielo nella sua accezione più pura e nera.
Quando come un felino la notte scende sui tetti e preda gli ultimi scampoli di luce il cielo è vicino.
Ma io me ne fottevo.
La prima cosa di cui mi sono stupito è il silenzio.
Un silenzio che riporta alla realtà.
Se sulla terra sei distratto da milioni di queste note, di questi flauti, di questi rumori, qui no.
Non era più tempo di parole.
Ne’di musiche.
Ne‘di suoni.
Il nero profondo me l’aspettavo, lo aspettavo al varco il nero assoluto tra un puntino bianco e l’altro, il silenzio no.
Mi addormentai ben presto con la chiara intenzione di nascondere alla mia coscienza che non ero lì, spinto dalla noia e dal sonno, con il caldo e luminoso abitacolo del mio vascello come una nuova casa.
Quando mi svegliai mi dimenticai bene dov’ero, perchè fui svegliato come dalla luce del mattino terrestre che filtrava fastidiosa dalle finestre del mio abitacolo, credevo di essere a “casa”.
Mi dimenticai di essere partito per il nulla alla ricerca di vita nell’universo.
Che fastidio, la luce, il mattino, già il cuore mi palpitava all’idea delle cazzate da compiere, già temevo di dover preparare il caffè già la luce mi feriva gli occhi, inutile e inopportuna come sempre.
Andai al bagno rimbambito senza avere ben chiara la situazione.
Mentre mi sedevo sulla tazza guardai fuori dalla finestra, entrava luce, ma il cielo era nero…
Sgranai gli occhi…ah diamine… ebbi per una volta un respiro di sollievo, già…
Sono partito alla volta del nulla cosmico e questa è la prima stella che incontro, posso risparmiarmi il caffè, mi sveglio benissimo da solo forse questa luce è diversa, forse.
No per nulla.
C’era un puntino luminoso sopra questo sole, o meglio, questa stella identica al sole e vi assicuro che le stelle non te le figuri mai come il sole fin quando la loro luce non ti filtra dalle finestre.
Per dirla tutta la luce pareva identica.
Il puntino luminoso si ingrandì fino a diventare un grande pianeta azzurro come il “nostro”.
Scesi su di un continente giallo.
Apro lo sportello, il deserto, comincio a ispezionare quel mondo, come lo ispeziono, bho, per incominciare da buon mammifero segno i confini facendoci una bella pisciata sopra.
Gran ispettore…di vita aliena, neanche un baffo.
L’urina colo’ sul crinale di una duna, unica espressione più che di una volontà di potenza derisa, di una volontà di esistenza beffata.
Presi a camminare nel deserto.
Mi sedetti.
Nulla in sto posto.
Nulla.
Niente.
C’era quella bella immagine buddhista di un isola all’Occidente dell’universo in cui il Buddha Amithaba trasforma nel colore del rosso del tramonto accendendo il nero spento dell’universo, nel rosso del tramonto da un rubino sulla sua fronte.
Non funzionava così.
Lasciato il pianeta vuoto alla volta del vuoto assoluto, il gelo il freddo.
Nessuna illuminazione.
Si forse Buddha era lì lontano, in uno di quei puntini luminosi, forse il messia era nato in uno di quegli altri ed io come un eremita stavo in quella caverna gigante.
Già.
Pensavo le stesse cose sulla terra.
Uno dopo l’altro mi resi conto di stare vivendo una routine peggiore di quella della terra, dormivo della grossa e non volevo svegliarmi quando i raggi di luce di un nuovo sole facevano capolino, per esplorare.
Deserto.
Sassi.
Crateri.
Dune.
Non un minareto o un muezzin e qualcuno che gridasse che Allah è grande e ci chiamasse a una preghiera, il deserto violento, nella sua estemporanea bellezza, ammutolita da questo estraneo che ero io e basta.
Mi contemplava forse.
Mi chiedevo al tremilesimo mondo visitato se la vera forma di vita fossero le nuvole.
“Forse ho sbagliato il concetto di vita mi dissi” “ovunque vada le vedo” “da sopra i colli troneggiano divine come arabeschi di un alfabeto nuovo”.
Inconsistente.
I soli si spegnevano.
Migliaia di albe, di tramonti, su miliardi di mondi, è solo vento e ombre.
Viaggiavo fra nebulose tanto meravigliose, quanto inconsistentemente vuote, andava sprecato tutto.
Io sarei morto in questo cimitero tanto meraviglioso quanto insulso.
Cercai di ribaltare i concetti di vita e di morte migliaia di miliardi di volte senza successo.
A ogni nuova alba reagivo con un caffè triplo, per cercare di svegliarmi dal coma cosmico del nulla.
Senza successo.
Un altro mondo visitato un altro nulla.
Dentro di me rimpiangevo la terra, e pensai che c’era una sola cosa che rivaleggiava con la grandezza dell’universo, era il dolore dell’uomo.
Una roba agghiacciantemente enorme, senza confini, perimetri dimensioni.
Vomitai il caffè nero sulle ennesime dune, mi prese l’angoscia e caddi in posizione fetale.
Convulsioni.
Vieni mamma, pensai, vieni a prendermi che ho sbagliato.
Chiusi gli occhi con le lacrime agli occhi.
Ero paralizzato.
Il vento ricopri il mio corpo di sabbia.
Vieni mamma, pensai, non ce la facevo più a muovermi, mentre mi spegnevo in questo ventre nero immenso.
Fui consapevole che era la fine.
Fui consapevole che era l’inizio.
Fuori piove.
Il mio corpo si disfece nell’ovulo di quel pianeta annidato nascosto nell’ utero immenso chiamato cosmo.
Potevo sentire il corpo di mia madre che si toccava la pancia con una mano al di là delle pareti nere del cosmo ed il silenzio era il liquido amniotico in cui avevo nuotato era intervallato dal battito del suo cuore.
Era questo il significato di quelle note che avevo sentito, questa la genesi di ogni musica.
La razza umana si era estinta da 4 miliardi sulla terra anni come spermatozoi su un profilattico azzurro.
Le mie cellule erano arrivate all’ovulo vero.
Sul pianeta si stavano fondendo e moltiplicando dando luogo ad una reazione di crescita esponenziale.
Sentivo il battito anche del mio cuore di mia madre e nulla era più caldo di questa immensità nera che velocemente stavo riempiendo, in cui dormivo e a cui un altra luce mi avrebbe svegliato.
Provo a illustrare brevemente il cosiddetto paradosso di Peto a chi non ne ha mai sentito parlare:
dato che il numero di cellule di un topo è inferiore di diversi ordini di grandezza rispetto a quelle di un uomo, che a sua volta ha un numero di cellule enormemente più basso di quello di una balena, come mai il rischio di tumore della balena che pure vive di più di tutti è inferiore rispetto a quello dell'uomo, che a sua volta ha un rischio inferiore a quello del topo?
Dato che il tasso di mutazioni casuali dipende dal numero di cellule che si moltiplicano per il lasso di tempo di vita media dell'animale se io peso 100 kg e la balena 100 tonnellate, a parità di vita vissuta, perché la balena non si ammala 1000 volte più di tumore?
E se io peso 100kg e il topo 100 grammi perché io non mi ammalo di tumore con una probabilità 1000 volte superiore a quella di un roditore?
La risposta per me è scontata: ovvero, la mutazione casuale, indotta da cancerogeno, ovvero agente in grado di danneggiare il DNA ha un ruolo non dico marginale, ma per lo meno non maggioritario nella genesi del tumore.
La ragione per cui si è valorizzata molto la tumorigenesi intesa come danno al DNA non riparato che porta le cellule ad ''impazzire'' è che sì, in effetti è l'unica scientificamente provata.
Se dobbiamo dirla tutta, il primo e più grande esperimento in tal senso è stata Hiroshima e Nagasaki, l'osservazione di un incremento di leucemie e linfomi dopo 2 anni dall'esposizione a radiazioni, e poi dopo circa 20 anni sono cominciati i primi tumori solidi.
Tempi comunque lunghissimi rispetto alla prima esposizione iniziale che però erano inequivocabilmente correlati all'esposizione a quegli agenti mutageni.
Siccome negli anni 50 è stata rivelata la struttura del DNA e la sua centralità biologica, il cerchio sembrava quadrato e la soluzione a portata di mano, e le prime riflessioni sul tumore come patologia mitocondriale, ovvero della batteria della cellule ad opera di Lehninger sono un pò caduti nel dimenticatoio.
Però tagliamo la testa al toro, susseguentemente a questa ipotesi sono state fatte queste controbiezioni, se c'è una quantità di cellule x la probabilità che una cellula sia mutata è x se c'è n'è 1000 è 1000x, se c'è n'è 1000000 x come nel caso della balena praticamente a meno di non avere un marchingegno cellulare 1000000 di volte più efficiente di quello di un topo, la sua stessa esistenza sarebbe messa in crisi perché stante un tasso di mutazione e riparazione simile a quello del topo la sua vita media dovrebbe essere di...
Minuti.
Piccolo particolare di questo grande animale: la Balena della Groenlandia vive 200 anni.
E con un tasso di tumorigenesi fra i più bassi di tutto il regno animale.
Quando le discrepanze numeriche sono così giganti, è perché il modello analizzato, semplicemente, è sbagliato.
Ora, cerco di essere sintetico:
Che cos'è che cambia tra un uomo, un topo e una balena di così enorme?
La risposta è : IL RAPPORTO SUPERFICIE VOLUME.
Facciamo finta per semplificare i calcoli e approssimiamo la loro forma a una sfera:
il volume di un topo è approssimative a una sfera nell'ordine di cm
l'uomo di pochi metri
la balena può arrivare fino a 50 metri
Il punto è che la superficie di una sfera è 4 pigreco r2
Il volume di una sfera è 4/3 pigreco r3
La superficie incrementa al quadrato, il volume al cubo.
Il rapporto tra superficie volume è molto più alto in un topo che in un uomo, e molto più alto in un uomo che non in una balena.
Il calore che viene prodotto in un organismo si produce nel suo volume, e si disperde nella sua superficie.
Un topo rispetto a un uomo mangia molto di più in rapporto al suo peso per mantenersi in vita rispetto a un uomo, un uomo molto di più rispetto a una balena.
E chi è che vive di più?
Il topo l'uomo, o la balena?
La risposta è la balena.
Potremo dire utilizzando una semplificazione che tanto più piccolo è l'animale, tanto prima muore.
Una farfalla vive ancora di meno di un topo.
E la tumorigenesi?
E la tumorigenesi segue questo paradigma grossomodo, più alta nel topo, più bassa nell'uomo, e ancora più bassa nella balena.
E qui arriviamo al punto fondamentale:
L'arco di durata dell'animale è una sorta di costante di Kilocalorie introdotte al giorno/peso.
Quindi una cellula di una balena è in un certo senso privilegiata, può permettersi il lusso di consumare meno energia rispetto a quella dell'uomo e del topo.
L'equazione semplice è: + energia utilizzi a parità di peso, prima muori e il cancro sembra seguire questa dinamica, sembrerebbe una funzione dell'energia utilizzata.
In linea di massima questo si sposa con l'osservazione che il digiuno aumenta la durata della vita di animali di laboratorio.
E io dico: ok, abbiamo ottenuto un primo step, abbiamo compreso l'ovvio, ovvero che meno energia bruci, meno rischi di sviluppare patologie degenerative, meno rischi di sviluppare tumore, e più tardi muori.
Ma questa è comunque una semplificazione, una semplificazione atta a togliere di mezzo l'idea di una tumorigenesi in cui comunque c'è il famoso ''cancerogeno'' esterno al tuo organismo, un agente chimico che reagisce con il DNA modificandolo.
Ma il DNA comunque nei tumori è mutato per carità chi lo nega.
Se bruci più glucidi e lipidi questo comunque implica più danni alla cellula.
E come abbiamo spiegato precedentemente la cellula della balena è quella che ne brucia di meno.
Ma c'è un altra variabile metabolica gigante che rischiamo di non vedere:
La perturbazione del livello di glucidi lipidi e proteine ad ogni singolo pasto.
Cioè le difficoltà che l'organismo incontra per mantenere uno steady state di glucosio o di qualsivoglia altro parametro nel sangue e nelle cellule.
In questo senso, le dimensioni della specie hanno un ruolo, perché comunque il pezzo di formaggio del topo è comunque gigante rispetto al topo, se paragonato al rapporto plancton/balena.
Ma interviene un altra variabile non da poco:
Il tipo di alimentazione che conduce l'animale.
E qui entriamo nel discorso carnivoro/erbivoro, il carnivoro, sopratutto quello che preda prede di grossa taglia rispetto a lui, ha un alimentazione molto più discontinua ed entriamo in una questione di più difficile distribuzione che affronterò successivamente.
Mi limito a dire che tutta quanta la fola dietetica moderna si basa su scarse evidenze e fa molto presa, in linea di massima il comparto dietetico è affollato di ciarlatani che proclamano la maggiore utilità di questo piuttosto di quest'altro, e la dieta a esclusione di carboidrati, eh ma lo zucchero fa male!
Il burro pure!
Nessuno che si soffermi a considerare che non è fondamentale capire se mangiare 100 grammi di pasta al giorno mi fa bene o mi fa male, ma capire se assumere 10 grammi di pasta per dieci volte al giorno mi faccia più o meno male di 100 grammi di pasta tutti assieme.
E' più facile dire:''bhu i carboidrati fanno male''.
E la questione è grossomodo questa, comprendere che evolutivamente parlando la capacità del nostro organismo di non morire in seguito all'assunzione di un pasto violentemente calorico rispetto a un periodo di digiuno prolungato (sto parlando di decine di giorni, o addirittura mesi) e della gestione di una oscillazione enorme del glucosio e degli amminoacidi nel sangue è un fattore implicito della specie che può avere come effetto collaterale una maggiore predisposizione alla tumorigenesi.
Cioè' che gli adattamenti che hanno portato i carnivori a non morire di sovralimentazione dopo digiuni prolungati una volta che hanno raggiunto la preda è poi ciò che fondamentalmente li ha resi più vulnerabili al tumore.
Cosa che si verifica a parità di grandezza dell'animale.
Lungi da me dire che la carne è cancerogena come un certo movimento dietetico cretino dice, il punto è che nessun carnivoro mangia la preda una fetta alla volta o la conserva sotto sale e in frigo,(va mangiato subito se no si imputridisce) e sopratutto che tra una preda e l'altra possono passare diversi giorni, se non settimane, e la vita del carnivoro sia detto per inciso, tanto semplice non è.
Non è la questione della carne in sé, la questione è di gestire un digiuno di 10 giorni a cui segue un abbuffata di 10 kg di carne cosa che potenzialmente lo potrebbe uccidere metaforicamente parlando, cosa che avviene appunto nella reefeeding Syndrome.
Ma questo cercherò di farlo successivamente.